Cinque giorni a tempo pieno tra i banchi del Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università di Milano, dedicati interamente a parlare di: ‘La mafia, oggi’. Un’esperienza formativa preziosa, un’occasione per incontrare ricercatori di fama internazionale, magistrati impegnati in prima fila, giornalisti sempre sul pezzo quando si parla di legalità. Un serbatoio di idee e spunti di riflessione che portiamo a Berlino e su cui siamo invitati a ragionare alla luce di quanto detto durante la settimana. Per farlo partiamo dalle parole di Pietro Grasso, presidente del senato della Repubblica, a conclusione dei lavori della Summer School: “Per combattere la mafia occorre una politica che la conosca e che si dia gli strumenti per combatterla. Il futuro della mafia dipende in maniera consistente dall’efficacia dell’azione politica”. Un’affermazione che interessa l’intero panorama europeo. Quali sono allora alcuni dei fattori che influenzano l’efficacia del policy maker, al di là dei confini geografici e scelte di politica interna?
In primis, la qualità e la completezza dei dati raccolti: dati lacunosi o frammentari sono un problema a livello di policy. Facciamo un esempio pratico: recentemente, il ministro degli interni italiano Minniti ha parlato dell’ipotesi dell’utilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata per dare alloggio alle persone sgomberate da edifici occupati, in particolare a migranti. Ma questi beni dove sono sul territorio italiano e in che condizioni di agibilità si trovano? I dati censiti dall’agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (www.benisequestraticonfiscati.it) sono completi ed aggiornati? Non proprio. Le politiche pubbliche sulla criminalità organizzata soffrono nel reperire dati aggiornati e attendibili per valutare al meglio e di conseguenza agire in maniera efficace.
Alle lacune delle banche dati in casi come questi, si aggiunge l’enorme numero oscuro sulla criminalità la cui valutazione è una delle maggiori sfide metodologiche per la criminologia e non solo. E se anche i dati ci sono, e sono tendenzialmente attendibili, come nel caso del tasso di omicidi in un determinato territorio (dati facilmente reperibili sul sito del ministero degli interni nel caso dell’Italia) arrivare a conclusioni affrettate solamente attraverso il dato e senza concetti teorici a monte non è forse fuorviante? Prendiamo il caso del bel Paese oggi, dove il numero di omicidi si è normalizzato rispetto agli anni ’90: la mafia è forse scomparsa per questo o la vera ragione è un’altra? Un’analisi critica e meticolosa del dato risulta quindi imprescindibile. Tra i trend auspicabili per il futuro, durante la Summer School è emersa l’importanza del calcolo sempre più accurato dell’ illicit financial flow, quindi del flusso di denaro illecito, e di indicatori di impatto della criminalità in termini di costi per la collettività, superando così il semplice conteggio dei reati avvenuti ma considerando il danno da essi causato. Se si va in questa direzione, la cassetta degli attrezzi sarà sempre più problematica ma maggiormente consapevole per una migliore conoscenza del fenomeno e della sua rappresentazione, che impatta a sua volta sulle politiche di contrasto.
E sulla rappresentazione del fenomeno gioca un ruolo importante il ricercatore sociale, in un ambitoquello della criminalità organizzata, che ha acquistato rilevanza per le scienze sociali solamente recentemente. Come sottolineato da più voci, il tema in passato è stato affrontato con cautela, pregiudizio, talvolta con resistenza da parte del mondo accademico, almeno fino ai primi anni ’90. Nuovi temi di ricerca empirica e teorica – i quali vanno a braccetto, in una sorta di pendolarismo tra teoria e ricerca – possono contribuire in maniera preziosa alla crescita di conoscenza sul fenomeno, fruibile poi in tutta Europa. Contrariamente al ritardo dell’accademia nell’occuparsi seriamente di questi temi in passato, si auspicano oggi programmi di ricerca di ampio respiro, multidisciplinari, che mettano in campo più competenze metodologiche. E come sottolinea il dott. Varese, professore di Criminologia a Oxford intervenuto a Milano, è più facile paradossalmente studiare la mafia dove c’è n’è poca, in modo da avere studiosi il più indipendenti possibili da pressioni esterne.
Per concludere, se vogliamo una politica che conosca il fenomeno e che abbia gli strumenti per combatterla, non possiamo perdere di vista la qualità e l’esaustività del dato e del sapere accademico, messi in relazione con altri campi del sapere.