Era il 1962 quando il matematico statunitense Edward Lorenz studiò ed elaborò il cosiddetto “effetto farfalla”, probabilmente ispiratosi ad “A Sound of Thunder”, racconto di Ray Bradbury. Lo scrittore del celebre romanzo Fahrenheit 451 immagina che, in futuro distopico fissato nel 2055, il protagonista, un cacciatore che intraprende un “safari nel tempo”, calpesta e uccide una farfalla, causando mutamenti politici, sociali, culturali nel suo presente.
Lorenz elaborò matematicamente e fisicamente l’ipotesi per cui “un battito delle ali di un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre”: il gabbiano, divenuto poi una più romantica farfalla, causerebbe uno spostamento di materia tale da innescare infinitesimali ma determinanti mutamenti nel reale che potrebbero anche far originare un uragano in tutt’altra parte del mondo.
La più che suggestiva teoria lorenziana, dotata di una prorompente forza immaginifica, è stata la base per sceneggiature di successo come Donnie Darko e The Butterfly Effect; ha ispirato cantanti ed artisti e, nel tempo, è servita a spiegare teorie filosofiche, legate al destino umano e teorie ambientali, relative al cambiamento climatico.
Tra le varie applicazioni del concetto, interessante è l’uso strumentale che spesso si fa dell’effetto farfalla per spiegare la globalizzazione: il mercato globale, erroneamente definito come inevitabile e parte dell’evoluzione umana, ha innescato nel tempo legami invisibili tra luoghi del mondo apparentemente sconnessi. Un incendio in una fabbrica di scarpe in Thailandia, ad esempio, può causare ingenti danni ad una multinazionale con sede in America, facendo calare a picco la sua quotazione in borsa e incidendo sull’occupazione nelle zone del mondo in cui la multinazionale opera. L’esempio più emblematico è sicuramente quello della Grande Crisi del 2008: la deregulation dei mercati finanziari permise delle incredibili – e complicate – speculazioni da parte dei più grandi attori finanziari degli USA (Goldman Sachs e JP Morgan fra tutte), soprattutto nel mercato immobiliare. Allo scoppio della bolla speculativa si è innescato un effetto domino che ha portato dapprima alla bancarotta della più grande assicurazione del mondo (l’AIG), poi al crollo della borsa mondiale, sino ad incidere tassello dopo tassello, sulla vita quotidiana di miliardi di persone, specialmente dei paesi più poveri e sottosviluppati.
La globalizzazione ci ha permesso di trovare sugli scaffali dei nostri supermercati prodotti orientali o sudamericani; ha consentito di conoscere le controversie politiche di questo o quel paese subsahariano; ha dato modo di connettere e creare ponti tra realtà economiche e sociali molto distanti tra loro. Ma come l’effetto farfalla insegna, ad ogni battito di ali corrisponde un uragano.
Uno dei tanti, troppi effetti negativi e incontrollati – ma non incontrollabili – della globalizzazione è stato ed è tutt’ora l’esponenziale crescita della criminalità organizzata: le simil-feudali famiglie mafiose siciliane, le barbare ‘ndrine della ‘ndrangheta, i clan camorristici hanno deciso di imparare l’inglese, il tedesco, lo spagnolo ed hanno avuto la capacità di oltrepassare i confini italiani ed europei.
Per questo, definire oggi le caratteristiche delle organizzazioni criminali italiane è assai arduo e complesso. Come Giano Bifronte, infatti, da un lato esse sono profondamente legate ai territori di origine, dove continuano a mantenere un potere profondamente legato al consenso popolare; dall’altro, invece, hanno acquisito una forte propensione ad emigrare ed esplorare oltre i confini italiani alla ricerca dei terreni più fertili per seminare e poi raccogliere i propri frutti criminali.
A questo punto occorre aprire una parentesi. Da decenni le mafie hanno differenziato i propri settori d’investimento, alla ricerca di una gigantesca “lavatrice” del proprio denaro sporco sempre in funzione. È fondamentale per le mafie investire il più possibile in attività legali che permettono di utilizzare il proprio denaro sporco derivante da attività come il commercio di droga, la prostituzione, il pizzo etc. etc. Per questo parlare di “organizzazione mafiosa” oggi significa parlare di una vera e propria “impresa mafiosa”, il cui fine primario è il profitto, caratterizzata da una rinnovata capacità di mimetizzarsi con il mercato cd legale e con gli agenti attivi nel panorama economico europeo e mondiale. Le mafie guadagnano, investono, rischiano esattamente come ogni società e, data la loro immensa capacità economica, sono paragonabili a poche multinazionali al mondo. Secondo un recente studio della Commissione Parlamentare antimafia le mafie italiane hanno un fatturato (ossia una somma di ricavi) pari a circa 150 miliardi di euro, più della prima multinazionale italiana (Exor, al cui interno vi sono la Juventus e Fiat ad esempio, che nel 2018 ha avuto un fatturato di 143 miliardi di euro).
Capitale. Investimenti. Globalizzazione. Le parole d’oro che caratterizzano il neo liberismo sfrenato, oggi, sono le stesse parole utilizzabili per le varie forme di criminalità organizzata, italiane (la ‘ndrangheta sopra tutte) e straniere (come i Narcos messicani e colombiani e la mafia russa). Ed anche in questo caso l’effetto farfalla fa il suo corso. Come quando nel 2007 una delle tipiche faide interne alla ‘ndrangheta – quella tra i clan Nirta-Strangio e Pelle-Vottari – originatasi nell’entroterra calabro, a San Luca, madrepatria aspromontina di quella che è oggi riconosciuta come la più forte organizzazione criminale del mondo e monopolista del mercato europeo della cocaina – ebbe i suoi devastanti effetti su luoghi distantissimi, geograficamente e culturalmente. È la Germania, infatti, lo scenario in cui, il giorno di ferragosto di dodici anni, fa si consumò definitivamente la guerra intestina tra i clan calabresi: a Duisburg, città famosa per l’acciaio ed il suo immenso porto fluviale, dinanzi al ristorante Da Bruno (uno delle tante “lavatrici” della ‘ndrangheta), il tipico silenzio teutonico fu spezzato dall’esplodere di decine e decine di colpi. 6 le vittime, tutte facenti parte del clan Pelle-Vottari, dai 16 ai 39 anni. I due principali mandanti, Giovanni Strangio e Francesco Nirta, sono stati arrestati qualche anno dopo non nell’arida San Luca, non in bunker ben nascosti tra le reti fognarie calabresi, non in casali protetti da un vicinato spaventato e silenzioso, ma in Olanda. Il primo, infatti, è stato arrestato ad Amsterdam, nel 2009; il secondo vicino Utrecht, a Nieuwegein, nel 2013.
Una faida a San Luca, una strage a Duisburg, due arresti in Olanda: ecco la globalizzazione. Ecco l’effetto farfalla. Storie lontane che si incrociano, paesi distanti che divengono scenari delle medesime tragedie, linee all’apparenza parallele che si intersecano dando vita a contorti labirinti. Come anche le storie delle ultime due vittime innocenti di mafia, Jan Kuciak e Martina Kusnirova, ventisettenni slovacchi, fidanzati e promessi sposi, e Antonino Vadalà, nato a Bova Marina, in provincia di Reggio Calabria, noto da anni dalle autorità italiane. Jan era un giornalista brillante e stava lavorando ad un’inchiesta sui rapporti tra la ‘ndrangheta ed il primo ministro slovacco Robert Fico, volta a scoprire un immenso giro d’affari basato sull’intercettazione illecita di fondi europei. Vadalà, già conosciuto dagli investigatori italiani per aver nascosto il trafficante di droga Domenico “Mico” Ventura, da Bova Marina scappò in Slovacchia dove avviò ferventi attività imprenditoriali e acquisì sempre più potere come referente dell’associazione criminale, intessendo rapporti anche con il Primo Ministro del paese. Le inchieste di Jan furono brutalmente silenziate il 21 febbraio 2018, giorno in cui lui e Martina sono stati freddati nella loro abitazione, ma l’effetto farfalla, questa volta, ha portato ad un’uragano di rabbia collettiva e solidarietà: Robert Fico, infatti, fu costretto a dimettersi dalle piazze slovacche, riempitesi come mai prima sin dalla Rivoluzione di velluto del 1989 per chiedere a gran voce nuove elezioni.
Immensa disponibilità economica (paragonabile a pochi Stati o multinazionali al mondo), ramificazioni intercontinentali e capacità permeante in molteplici settori della società: forse aveva ragione Marlon Brando, l’attore interprete del celebre Padrino, quando affermava che “la mafia è il miglior esempio di capitalismo che abbiamo”.