La violenza dei clan montenegrini attraversa l’Europa. L’ultimo caso a Forst, Brandeburgo

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I recenti omicidi avvenuti a Forst (Brandeburgo) gettano luce sulle attività dei clan montenegrini in Germania e in Europa. I gruppi criminali di Kotor accompagnano al traffico di droga una violenza efferata, che nella guerra tra clan ha portato alla morte di almeno 40 persone. La cooperazione internazionale tra gli Stati interessati sembra essere l’unica opzione percorribile per contrastare questo fenomeno criminale in ascesa e così socialmente pericoloso.

Ha destato particolare scalpore l’omicidio di due uomini originari del Montenegro accaduto il 13 maggio a Forst (Brandeburgo). L’agguato è avvenuto in un appartamento della cittadina tedesca con l’utilizzo di armi da fuoco silenziate ritrovate poi non lontano dall’abitazione. Nell’attacco hanno perso la vita Darko M. e Nikola J., mentre sono rimasti feriti altri due uomini: Miloš V. e Miloš P. A soccombere nell’agguato sono stati alcuni personaggi legati allo Škaljarski clan, gruppo criminale originario di Kotor, graziosa città costiera del Montenegro che si affaccia sul mare adriatico. Il gruppo criminale di Kotor, un tempo unito, è al momento diviso in due fazioni in lotta tra loro. Lo Škaljarski e il Kavacki clan prendono il nome da due località della città di Kotor e sono attualmente protagonisti di una guerra iniziata nel 2014. La sparizione di 200 kg di cocaina arrivati dal Sud America e nascosti in un appartamento a Valencia è stato il motivo scatenante di una faida che ha portato ad oggi a più di 40 morti. La furia omicida di questi clan criminali ha portato ad una guerra senza frontiere. I primi episodi di violenza si sono verificati proprio a Valencia, per poi proseguire in diverse città del Montenegro, della vicina Serbia ed estendersi infine anche ad altri Stati europei.

Il 21 dicembre 2018 l’omicidio a Vienna di Vladimir Roganovic, ritenuto un membro del Kavacki clan, e il ferimento di un suo sodale avevano scosso fortemente la capitale austriaca, in quanto l’attentato è stato eseguito davanti ad un ristorante in pieno centro. Questo episodio è avvenuto al termine di un anno particolarmente intenso nella lotta tra gruppi criminali montenegrini, che si era aperto l’1° gennaio con un omicidio in un garage a Belgrado ed era proseguito con altre esecuzioni brutali. Gli arresti all’estero del leader del Kavacki clan (Slobodan Kašcelan, arrestato a settembre in Turchia), e del leader dello Škaljarski clan (Jovan Vukotic, arrestato a metà dicembre in Repubblica Ceca), entrambi trovati in possesso di documenti falsi, non hanno però fermato la lunga scia di sangue.
Omicidi, esplosioni, attentati e altre forme di intimidazione hanno colpito non solo gli esponenti dei gruppi criminali in lotta, ma anche i loro familiari, testimoni, giornalisti e altre vittime innocenti completamente estranee alle dinamiche delle lotte criminali tra clan. Gli esecutori materiali riescono nella maggior parte dei casi a sfuggire alla cattura e continuano ad essere una minaccia per la sicurezza dei cittadini.
I clan montenegrini sono dediti soprattutto al traffico di sostanze stupefacenti e ricoprono un ruolo di prim’ordine per via della posizione strategica occupata lungo la rotta balcanica, principale luogo di transito degli oppiacei in arrivo dal Medio Oriente e diretti verso i mercati dell’Europa occidentale. Oltre a ciò, i gruppi criminali montenegrini sono ritenuti molto affidabili anche da parte dei partner sudamericani, principalmente per quel che riguarda il traffico di cocaina diretto in Europa. La violenza e gli scontri tra clan della regione sono dunque da ricondurre al tentativo di controllo del remunerativo traffico di droga.

La criminalità organizzata di origine montenegrina esercita una forte influenza su vari settori della società e in particolare può contare su importanti legami con le istituzioni locali che le consentono di investire i proventi ricavati dai traffici illeciti in attività legittime. L’ingresso nel traffico di stupefacenti è stato per i criminali montenegrini solo la naturale evoluzione del contrabbando di sigarette imbastito negli anni ’90 con la partecipazione diretta delle istituzioni e delle strutture statali. Durante i conflitti in ex-Jugoslavia, in risposta alle sanzioni economiche imposte dalle Nazioni Unite al regime di Milosevic, è nata la cosiddetta ‘’Montenegro connection’’. Questo traffico di sigarette di contrabbando diretto verso l’Italia – e in particolare verso il porto di Bari e Brindisi – coinvolgeva importanti esponenti di spicco delle istituzioni locali, tra cui l’attuale Presidente della Repubblica Milo Djukanovic, servizi di sicurezza e criminali montenegrini, compagnie di tabacco come la Philipp Morris e la R.J. Raynolds, esponenti di organizzazioni criminali italiane quali la Camorra e la Sacra Corona Unita.

Con la fine delle guerre jugoslave e l’ingresso nel più redditizio traffico di droga, i criminali montenegrini hanno potuto continuare a fare affidamento sulle connessioni create negli anni ’90, in particolar modo con i servizi di sicurezza dello Stato. I recenti spargimenti di sangue mettono però in crisi le istituzioni montenegrine, che sulla strada verso l’ingresso in Unione Europea hanno come compito essenziale quello di combattere la criminalità organizzata e la corruzione, garantendo stabilità e sicurezza al paese. Soddisfare le richieste dell’UE diventa difficile se si considera che il paese è permeato da un forte sistema corruttivo e una fitta rete clientelare creata ad arte proprio da Djukanovic in più di 20 anni passati ai vertici delle istituzioni. Nonostante ciò, alla luce del recente incremento degli scontri tra clan rivali, il Montenegro ha promesso un maggiore impegno nella lotta al crimine organizzato.

Lo stesso ha fatto la vicina Serbia, in seguito all’omicidio di Sale ‘Mutavi’, criminale belgradese molto vicino al Kavacki clan e legato ad importanti rappresentanti delle istituzioni del paese. I gruppi criminali montenegrini possono contare su rilevanti alleanze nel sottobosco criminale serbo. Se da una parte lo Škaljarski clan è vicino a Luka Bojovic, leader del rinnovato clan di Zemun e al momento incarcerato in Spagna, dall’altra parte il Kavacki clan può contare su forti legami col gruppo di Sale ‘Mutavi’ e avvalersi delle sue protezioni a livello politico.

I criminali montenegrini vedono Belgrado come un rifugio sicuro dove portare avanti i propri traffici illeciti e proseguire le lotte intestine. I controlli nei loro confronti non sono efficaci. Essi dispongono di libertà di movimento e riescono ad ottenere con relativa facilità i documenti e la cittadinanza serba.

Per una credibile ed efficace lotta alla criminalità organizzata è necessario che le istituzioni e i servizi di sicurezza di questi paesi recidano in maniera decisa i rapporti con i gruppi criminali. Le posizioni chiave per la lotta al crimine organizzato dovrebbero essere ricoperte da persone competenti ed integre, mentre bisognerebbe allontanare dai posti di responsabilità le personalità più compromesse.

Infine, è fondamentale che gli Stati cooperino tra loro nel contrasto della criminalità organizzata transnazionale. Come visto, l’espansione e i traffici portati avanti da questi gruppi criminali non conoscono confini. A livello regionale, la criminalità di origine balcanica ha approfittato a lungo della reciproca sfiducia e della scarsa comunicazione delle autorità dei singoli paesi. Gli strascichi dei conflitti degli anni ’90 e l’inaffidabilità della controparte, spesso ritenuta collusa con i poteri criminali e quindi non degna di fiducia, hanno pesato molto in tal senso. I gruppi criminali della regione hanno invece stretto in più occasioni importanti sodalizi tra loro, indipendentemente dall’origine e dall’etnia, al fine di ottenere importanti guadagni dai traffici illeciti.

I recenti episodi di Forst e Vienna dimostrano come la cooperazione internazionale tra le forze di polizia e le procure dei diversi paesi sia più che mai necessaria. Come afferma Stevan Dojcinovic, redattore di KRIK, portale di giornalismo investigativo in Serbia, ‘’non può esserci una vera lotta alla mafia senza cooperazione internazionale perché la criminalità non conosce frontiere. I gruppi criminali, compresi quelli in lotta tra loro nel nostro paese, operano in più Stati e continenti: gli stupefacenti vengono contrabbandati dall’America Latina verso l’Europa; il denaro proveniente da attività illecite viene riciclato in vari paesi; un omicidio può essere organizzato in un paese ed eseguito in un altro’’.