La guerra fra clan montenegrini non si arresta. Il caso di Igor K. scuote l’opinione pubblica tedesca

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La guerra fra clan montenegrini torna ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica in Germania. Il 7 febbraio scorso è stato trasferito alla Medizinische Hochschule di Hannover (MHH) il criminale montenegrino Igor K., 35 anni, gravemente ferito in seguito ad un attentato ai suoi danni avvenuto nei pressi di Podgorica (MNE) alla fine di gennaio. L’attacco è avvenuto nel quadro dello scontro tra Škaljarski e Kavački clan, che avevamo già approfondito lo scorso maggio in seguito alla violenta uccisione di due membri dello Škaljarski clan a Forst (Brandeburgo).  La notizia del ricovero di Igor K. in Germania è uscita sui media con qualche giorno di ritardo e ha immediatamente suscitato un susseguirsi di polemiche.

La ricostruzione dei fatti

Il 28 gennaio, Igor K., è investito da una raffica di proiettili mentre si trova nella propria automobile. Viene trasportato d’urgenza all’ospedale dove è ricoverato con sette ferite da arma da fuoco. Per ottenere cure migliori viene poi trasferito ad Hannover, dove la sua presenza mobilita le forze dell’ordine – si parla di un numero cospicuo, addirittura attorno ai 250 poliziotti – volte a garantire giorno e notte la sicurezza del paziente, ma anche del personale ospedaliero e dei pazienti della MHH.

La stretta sorveglianza a cui è stato sottoposto il criminale montenegrino ha allertato l’opinione pubblica tedesca. L’associazione dei contribuenti (Steuerzahlerbund) ha protestato per il dispiegamento delle forze di sicurezza in gran numero, sostenendo di non voler farsi carico di questa spesa, da addebitare invece al paziente privato e alla sua famiglia. La polizia di Hannover ha dichiarato che tali precauzioni e misure di sicurezza sono da considerarsi necessarie per questo tipo di casistiche. Il Ministro degli interni della Bassa Sassonia Boris Pistorius (SPD) ha chiarito che l’arrivo di Igor K. non era stato né voluto né richiesto da nessuno, ma che ci si è trovati con un paziente in gravi condizioni da curare e queste cure andavano quindi garantite nella sicurezza di tutti. Anche dal ministero della Scienza e della Cultura della Bassa Sassonia hanno fatto sapere che il paziente è arrivato alla clinica come caso urgente e che i medici dell’MHH non potevano rifiutare di prestare soccorso. Dirk Toepffer della CDU, come riportato dal quotidiano BILD, sostiene che il ricovero di Igor K. sia stato un gesto irresponsabile e pericoloso, che ha provocato un danno economico per i contribuenti oltre che per l’immagine e la credibilità del paese.  Al coro si sono uniti anche esponenti degli altri partiti politici. Tra gli altri, Marco Genthe della FPD sottolinea come bisognasse fare attenzione che con la sua permanenza alla Medizinische Hochschule di Hannover non si verificasse un caso di riciclaggio di denaro sporco. 

I costi per le cure – attorno ai 90.000 euro – sono stati sostenuti da Igor K., ma ci si è chiesto da dove provenisse questa cifra così elevata e se derivasse dai traffici illeciti. Il 35 enne montenegrino, infatti, era già noto alle forze dell’ordine nel paese d’origine. Nel 2017, in seguito ad un’operazione di polizia che lo ha visto coinvolto, erano stati sequestrati telefoni cellulari, coltelli, un machete, due auto e 182.450 euro in contanti. Si ritiene che Igor K. fosse dedito al traffico di droga e all’usura.

Alla luce dei risvolti e del polverone mediatico venutosi a creare, la città di Hannover, in comune accordo con il ministero di Pistorius, ha deciso di allontanare il criminale montenegrino, perché ‘’il soggiorno del paziente all’MHH rappresenta una minaccia per la sicurezza e l’ordine pubblico’’.  Igor K. ha dunque ricevuto un ordine di espulsione ed è stato costretto a spostarsi nuovamente. Trasportato in elicottero in Turchia, continuerà le sue cure ad Istanbul.

Il contesto di riferimento

Igor K. è ritenuto un membro dello Škaljarski clan e l’attentato alla sua vita va ricondotto allo scontro che questo gruppo criminale sta portando avanti da alcuni anni con il Kavački clan per il controllo del remunerativo traffico di droga. Škaljarski e Kavački clan erano originariamente riuniti in un unico gruppo criminale della città di Kotor. L’arresto nel 2014 del potente narcotrafficante Darko Šarić ha però lasciato nell’underground criminale montenegrino un importante spazio da riempire, ed è qui che sono iniziate le tensioni interne al gruppo di Kotor. Darko Šarić aveva dato vita ad un gruppo criminale di serbo-montenegrini molto sofisticato e flessibile. Faceva affidamento su importanti connessioni con le istituzioni e le forze di polizia della regione, ed era considerato un partner efficiente ed affidabile da parte dei cartelli sudamericani nel traffico di cocaina in Europa. I proventi del narcotraffico erano poi riciclati dal narcoboss in varie attività lecite all’interno della regione balcanica, ad esempio tramite l’acquisto di bar, ristoranti e appezzamenti di terreno, l’erogazione di prestiti e la stipulazione di contratti fittizi. Il suo arresto e la fine del suo dominio criminale hanno lasciato aperto uno spazio appetibile per i criminali della regione, disposti a tutto pur di affermarsi nel traffico degli stupefacenti.

Il fattore scatenante è stato la sparizione nel 2014 in un appartamento a Valencia di 200Kg di cocaina appartenenti al gruppo criminale di Kotor. Questo episodio da il via ad una faida interna sanguinosa, che ad oggi ha portato alla morte di più di 40 persone. Lo scontro fra Škaljarski e Kavački clan ha finito per coinvolgere anche altri gruppi criminali attivi in Serbia e Montenegro, che si sono divisi tra le fazioni in lotta. Secondo il portale di giornalismo investigativo KRIK, lo Škaljarski clan sarebbe sostenuto dal criminale serbo Luka Bojović, leader del rinnovato clan di Zemun e al momento incarcerato in Spagna. A tenere le redini del gruppo criminale è ora il suo stretto collaboratore Filip Korać, a lungo nome ignoto ai più, ma che di recente ha ricevuto un’enorme visibilità dopo che il Presidente della Serbia Aleksandar Vučić si è espresso pubblicamente definendo Korać una persona estremamente pericolosa e una vera e propria minaccia per la popolazione serba. Dall’altra parte, però, il Kavački clan può contare in Serbia sull’appoggio di figure criminali legate agli Janjičari, gruppo ultras del Partizan Belgrado, guidato da Aleksandar Stanković, anche noto con lo pseudonimo di Sale ‘Mutavi’ (il muto), fino alla sua uccisione avvenuta nel 2016. Il gruppo di ‘Sale Mutavi’ dispone di importanti coperture da parte delle forze di polizia e delle istituzioni del paese. Lo stesso figlio del Presidente serbo Vučić è in rapporti di amicizia con alcuni appartenenti al gruppo degli Janjičari, ed è stato fotografato in più di un’occasione in loro compagnia.  

Dopo gli episodi di violenza avvenuti sul territorio serbo nell’ottica di questa guerra tra clan, il governo ha sostenuto con fermezza la necessità di contrastare il fenomeno criminale in Serbia. Nonostante ciò, l’azione intrapresa da istituzioni e forze dell’ordine ad alcuni osservatori è sembrata finora a senso unico, cioè diretta esclusivamente contro la fazione vicina allo Škaljarski clan.

Lo scontro tra questi gruppi criminali sta raggiungendo dimensioni estese, con omicidi eseguiti anche in altri paesi europei. Lo Škaljarski clan, al momento, sta avendo la peggio. Alcuni membri di questo gruppo gruppo si sono spostati all’estero, ma vengono raggiunti anche qui dai loro avversari. Ad impressionare è il fatto che questo conflitto sia oramai condotto al di fuori di ogni schema. L’obiettivo finale è l’annientamento dell’avversario. Ad essere colpite sono le famiglie dei criminali, i loro collaboratori – come ad esempio gli avvocati – e gli attacchi vengono sempre più spesso condotti anche in presenza di mogli, figli e cittadini indifesi. Ci sono infatti anche casi di vittime innocenti, colpite accidentalmente dai criminali perché sedute al tavolo accanto a quello dell’obiettivo da eliminare. I gruppi rivali sono particolarmente violenti e brutali, come dimostra proprio l’attacco a Igor K.; in questa guerra senza frontiere i clan fanno ricorso a differenti metodi criminali, come ad esempio il ricorso ad esplosivi e autobombe, ma anche ad altre forme di intimidazione e ritorsione.

Le statistiche mostrano poi, che nella maggior parte dei casi gli esecutori materiali riescono a farla franca. Lo scorso novembre, ad un evento organizzato da mafianeindanke a Berlino sui temi della corruzione e criminalità organizzata, la giornalista serba di KRIK Bojana Jovanović ci ha presentato il loro database relativo agli omicidi di tipo criminale e mafioso sui territori di Serbia e Montenegro dal 2012 ad oggi. Su 163 omicidi solamente 13 (circa l’8%) sono stati risolti, mentre in 97 casi (quasi il 60%) gli esecutori materiali sono sconosciuti.

I recenti sviluppi dello scontro criminale

Lo scorso maggio avevamo pubblicato un primo approfondimento sulle dinamiche di questo scontro, alla luce degli avvenimenti di Forst (Brandeburgo), dove due membri dello Škaljarski clan, Darko M., e Nikola J., erano stati uccisi in un appartamento della cittadina tedesca, mentre altri due criminali dello stesso gruppo erano rimasti feriti nell’agguato.

Gli sviluppi recenti indicano che lo scontro si è violentemente riacceso.

Il 19 gennaio scorso in un ristorante ad Atene viene ucciso Igor Dedović, uno dei leader dello Škaljarski clan. Insieme a lui viene eliminato anche Stevan Stamatović, suo stretto collaboratore. I due sono stati uccisi in presenza di mogli, figli e numerosi ospiti del locale. A questo punto il clan sembra restare senza guida perché Jovan Vukotić, boss del gruppo criminale, si trova in prigione in Serbia. Successivamente, l’8 febbraio, il criminale montenegrino viene estradato in Montenegro, dove deve affrontare l’accusa di tentato omicidio. Vukotić è indagato anche in Grecia per il traffico di 135kg di cocaina.

Il 28 gennaio avviene l’attacco a Igor K., il quale – secondo il quotidiano serbo Blic – ha stretti rapporti con Milić Minja Šaković, importante membro dello Škaljarski clan a sua volta legato a Stevan Stamatović.

Una decina di giorni dopo l’assalto a Igor K. vengono arrestati all’Hotel Crowne Plaza di Belgrado quattro uomini vicini allo stesso clan, tre cittadini del Montenegro e un cittadino bosniaco, che secondo i tabloid serbi si presuppone stessero organizzando pesanti azioni di tipo criminale.

L’episodio di violenza più recente, però, mostra una direzione diversa. Ad essere ucciso il 13 febbraio scorso ad Herceg Novi (MNE) è Šćepan Roganović, figura vicina al Kavački clan e terzo membro della famiglia Roganović ad essere eliminato nella faida, dopo che l’ultimo sulla lista era stato suo cugino Vladimir, ucciso davanti ad un ristorante in pieno centro a Vienna nel dicembre 2018.

La situazione rimane tesa. Le autorità della regione non stanno ottenendo risultati particolarmente efficaci nella lotta alla criminalità organizzata. La necessità di garantire ai cittadini maggiore protezione e sicurezza presuppone che le forze di polizia e le istituzioni dei paesi interessati siano più decise nella lotta al fenomeno criminale e soprattutto che recidano tutti i collegamenti e le forme di connivenza con i gruppi criminali in guerra.

Il Montenegro sulla rotta dei traffici criminali

Il Montenegro è uno snodo importante lungo le rotte dei traffici illeciti diretti verso l’Unione Europea. I clan montenegrini, infatti, possono fare affidamento su una posizione geografica privilegiata. Il Montenegro è uno stato costiero e i suoi porti – in particolare quello di Bar – hanno sempre giocato un ruolo chiave. Già negli anni ’90, durante i conflitti in ex-Jugoslavia, i gruppi criminali montenegrini sono stati protagonisti nel contrabbando di sigarette diretto verso l’Italia. Per questo traffico hanno potuto fare affidamento sulla collaborazione con i rappresentanti delle istituzioni e delle forze di polizia del Montenegro, oltre che con importanti organizzazioni criminali italiane – Camorra e Sacra Corona Unita – e colossi dell’industria del tabacco. Ad essere coinvolti erano anche importanti figure politiche, come l’attuale Presidente del Montenegro Milo Đukanović, per attuare quello che è stato un vero e proprio contrabbando di Stato. I rapporti tra istituzioni, criminalità organizzata e forze di sicurezza si sono consolidate anche nel dopoguerra e hanno agevolato l’inserimento dei criminali montenegrini nei traffici di sostanze stupefacenti. Il Montenegro è situato lungo la rotta balcanica, passaggio chiave nel traffico di oppiacei in arrivo dal Medio Oriente (Afghanistan) e diretto verso i paesi europei. Ma, attualmente, il paese è uno snodo fondamentale soprattutto nel traffico di cocaina in arrivo dal Sudamerica. Come sottolineato da un recente report di ‘’The Global Initiative Against Organised Crime’’, i porti montenegrini svolgono un ruolo importante in questi traffici, grazie alle buone infrastrutture, alle coperture garantite dalle forze di polizia e all’ampia manodopera a disposizione dei gruppi criminali.

A preoccupare, infine, è la situazione interna in Montenegro. Il paese è permeato da un sistema clientelare e corruttivo, consolidatosi in più di 20 anni di dominio politico di Đukanović. Non il massimo per un paese che come requisito fondamentale per l’ingresso in UE deve impegnarsi a combattere criminalità organizzata e corruzione. Le istituzioni del paese hanno di recente preso questo impegno pubblicamente.

Secondo alcuni osservatori, i capi di imputazione nei confronti dei criminali in lotta sono più severi e duri rispetto a quelli presenti ad esempio in Serbia, a dimostrazione di un impegno all’apparenza maggiore su questo fronte. Non c’è dunque che attendere gli sviluppi della faccenda, senza dimenticare che l’unica via per contrastare il fenomeno criminale è data dall’impegno di tutte le forze del paese, senza scendere a compromessi e legittimare la presenza di questi gruppi criminali. Questa è l’unica direzione in cui deve essere portata avanti la lotta, con il fine ultimo di garantire la sicurezza e l’incolumità dei cittadini.