La presenza della criminalità organizzata non è mai stata un tratto distintivo della cittadina di Hechingen, ai piedi delle Alpi sveve nel Baden-Württemberg. Recentemente però, due sparatorie e un procedimento legale hanno turbato l’atmosfera idilliaca che vi regnava. Il processo ha svelato come il traffico di droga sia gestito in grande stile dagli italiani, ma anche come essi, di tanto in tanto, agiscano in maniera approssimativa. Questo modo “dilettantistico” di gestire gli affari è risultato fatale per un giovane che non aveva nulla a che fare con la criminalità organizzata. A causa di un debito di 5000 euro per l’acquisto di 1kg di marijuana, il ragazzo è stato ucciso il 1° dicembre 2016 con dei colpi di pistola provenienti da un’automobile in corsa.
È consuetudine associare la mafia italiana al traffico di cocaina ma essa si occupa anche del commercio di marijuana, sebbene non in grandi quantità. I principali motivi di questa scelta sono due: in primis, gli utili derivanti dallo spaccio di marijuana sono molto più bassi rispetto a quelli che si ottengono con la vendita della cocaina. Secondo, il rischio di essere scoperti è decisamente più alto a causa della minore affidabilità dei consumatori di cannabis. Tuttavia, per confermare il coinvolgimento della mafia nel caso di Hechingen, sarebbe necessario indagare in Italia; che gli imputati abbiano un passato all’interno della criminalità organizzata è, però, assolutamente irrilevante per il processo in Germania e le indagini non sono state approfondite. Fino a poco tempo fa, infatti, l’appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso non era perseguibile penalmente e ad oggi, anche dopo una modifica della legge, questo capo di imputazione viene attribuito solo in casi specifici. In Italia, al contrario, è un presupposto molto importante per la condanna e talvolta costituisce un’aggravante, motivo per cui l’appartenenza o meno ad una associazione di stampo mafioso gioca un ruolo decisivo nel processo di Hechingen.
Nell’ambito dell’operazione “Prato Verde”, la Procura di Catania ha individuato una rete criminale dedita al traffico di droga operante soprattutto in Sicilia, dove intratteneva contatti con la mafia. Uno dei membri, arrestato in Italia, è stato rilasciato dalla autorità in Germania, dove abitava, per ragioni squisitamente burocratiche. La decisione di trasferirsi in Germania si è rivelata più che azzeccata: infatti, il mandato d’arresto disposto nei suoi confronti dalla procura di Catania non è stato riconosciuto dalle autorità tedesche per più di due anni. Il procuratore catanese, a dir poco adirato, ha dichiarato che, nonostante abbia collaborato spesso con Procure della Germania, non gli era mai capitata una cosa del genere. Gli inquirenti hanno lavorato per mesi alle operazioni di intercettazione, i cui risultati non sono stati presi seriamente dalle autorità tedesche. Queste ultime, infatti, erano confuse dal fatto che nelle intercettazioni si parlasse di “due pneumatici e mezzo”; un termine che, ignorando il contesto in cui avvenivano le conversazioni, non ha nessun senso ma che nella realtà si riferiva alla fornitura di droga. Questa negligenza ha comportato non solo l’agire indisturbato del soggetto nella sua nuova patria, bensì il consolidamento della sua consapevolezza che le stesse autorità che lo avevano rilasciato dopo il suo arresto, non avrebbero preso provvedimenti nei suoi confronti.
La parola “Catania” ha un ruolo centrale anche nel processo di Hechingen: è proprio così che l’uomo era salvato nella rubrica di due suoi giovani clienti. Ora “Catania” è in prigione e, insieme a lui, i due ragazzi. Sembrerebbe essere proprio lui ad aver venduto a questi “aspiranti” spacciatori il kg di marijuana che non è stato pagato dall’acquirente. Ed è quindi nei suoi confronti che i ragazzi avevano maturato il debito di 5000 euro. Debito, che “Catania” voleva venisse saldato al più presto.
Le autorità del Land tedesco di Baden-Württemberg, che al tempo non avevano riconosciuto il mandato d’arresto nei suoi confronti, dovrebbero porsi qualche domanda. Se il soggetto in questione fosse stato arrestato, non avrebbe potuto vendere marijuana ai due giovani spacciatori, che non avrebbero contratto alcun debito nei suoi confronti. Di conseguenza, il 23enne ucciso nella sparatoria di Hechingen, in auto insieme al cliente che non aveva pagato la droga, sarebbe ancora vivo. Ma il mandato d’arresto disposto dalle autorità italiane non è stato legittimato.