A Corleone gli imprenditori hanno denunciato il pizzo. A Corleone da vent’anni si (ri-)paga pizzo. Proprio nel paese dei boss – Provenzano, Riina, Messina Denaro – dove, si potrebbe credere, lo Stato sia per evidenti ragioni storiche particolarmente presente, è invece sempre Cosa Nostra a farla da padrona. Il Comune di Corleone è stato sciolto ad agosto 2016 per infiltrazioni mafiose – il Sindaco aveva denunciato pressioni, ma le indagini hanno rivelato una presenza capillare della mafia che gestiva appalti, rifiuti, mensa scolastica e persino la riscossione dei tributi. Ora arriva l’ordinanza di custodia cautelare per dodici esponenti di spicco delle cosche locali: allevatori, forestali, impiegati statali. Si riunivano presso lo stadio comunale di Corleone. Tra di essi il nipote di Provenzano, uscito dal carcere da tre anni, in prima fila al funerale dello zio, cercava di ricostruire la rete di potere e controllo del mandamento di Corleone. Le accuse sono di associazione di tipo mafioso, estorsione, tentata estorsione e danneggiamento, con l’aggravante della finalità di agevolare l’associazione mafiosa. L’operazione è riuscita a tracciare ed eradicare la struttura criminale locale, portando alla luce le sue mire, alleanze e contrapposizioni. La straordinarietà dell’evento è però data dal chiaro passo fatto dagli imprenditori taglieggiati in direzione della legalità. Alcuni hanno denunciato spontaneamente le estorsioni, altri si sono appoggiati al comitato AddioPizzo – che risulta un’altra volta determinante ai fini della giustizia. Altri ancora sono crollati una volta convocati dalle forze dell’ordine. Tutti, però, hanno avuto il coraggio di parlare, di denunciare un sistema noto a tutti ma sempre rimasto taciuto. La loro testimonianza è stata fondamentale per l’incriminazione dei mafiosi, ma è soprattutto un segno inequivocabile dato alla società civile.
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