In una conferenza stampa tenutasi pochi giorni dopo l’ingresso dei talebani a Kabul il portavoce Zabihullah Mujahid ha dichiarato: “There will be no drug production, no drug smuggling. We saw today that our young people were on drugs near the walls; this was making me very, very sad that our youth is addicted”, ed ha cercato poi di rimettere la responsabilità di questa scelta nelle mani della comunità internazionale aggiungendo: “Afghanistan will not be a country of cultivation of opium anymore, but we need international help for that. The international community needs to help us”.
Questa decisione si inserirebbe in un percorso intrapreso nel 1998, quando la generazione di talebani allora al potere si stava scontrando con un forzato isolamento internazionale dovuto alle politiche integraliste attuate nel Paese. Tutte le organizzazioni delle Nazioni Unite presenti a quel tempo sul territorio afghano avevano infatti deciso di recidere ogni contatto con il regime. A questa scelta fece però eccezione lo United Nations Office on Drugs and Crime, che mantenne invece i rapporti con i talebani secondo il disegno di quella che fu nominata, con un’immagine molto esplicita, foot-in-the-door tactic: si puntava così a far leva sull’enorme potere che la UNODC avrebbe guadagnato ad un tavolo di contrattazione sul tema della produzione e dell’esportazione di droga, in quanto ultima mano tesa da Occidente verso un Paese leader nella produzione di oppioidi (ad oggi l’Afghanistan copre da solo più dell’80% della produzione mondiale) e con un disperato bisogno di recuperare credibilità politica.
I primi risultati strategici si raccolsero verso la fine del 1999 quando, a seguito di diversi meeting tra UNODC e talebani, l’allora leader Mullah Omar decise di promulgare una riduzione delle coltivazioni di oppio per un terzo dell’intera produzione. Imposizione poi seguita nel 2000 da una seconda, più drastica misura che aveva valore di fatwa, cioè di perizia religiosa, che imponeva la completa eradicazione delle coltivazioni da oppio. Gli effetti furono notevoli: si parla di un’efficacia di più del 90%, tanto che fu definita come “the most effective drug control action of modern times”.
Com’è intuibile, il mercato dovette adattarsi a questo imprevisto, e lo fece almeno in parte dirottandosi verso i farmaci oppioidi. Stati come India, Pakistan e Finlandia virarono verso la buprenorfina, un derivato della tebaina che normalmente viene impiegato contro il dolore acuto e nella cura alla dipendenza da altri oppioidi; mentre ad esempio l’Estonia puntò verso il Fentanyl, un potente analgesico di cui tra l’altro il World Drug Report 2021 ha segnalato una nuova, preoccupante diffusione in Nord America. La fonte di preoccupazione primaria circa l’attuale presenza di questa sostanza (e di molte altre) nel circuito di contrabbando, sottolinea il report, non sta tanto nell’aver contribuito ad aumentare il numero di consumatori di oppiacei, quanto il numero di casi di overdose registrati: esso infatti viene spesso utilizzato per adulterare l’eroina o altre droghe, mentre altre volte viene semplicemente spacciato per qualche altro farmaco.
Quello del fentanyl è uno dei casi, ma lo stesso documento mette anche l’accento, per esempio, sulla diffusione del tramadol in Africa e in Medio-Oriente, il che evidenzia chiaramente non solo che strade alternative allo spaccio di eroina esistono, ma che in gran parte vengono già percorse, ed in maniera piuttosto efficace.
Giunti a questa prima considerazione possiamo chiudere il cerchio tornando in Afghanistan, dove a quanto pare ultimamente la produzione di metanfetamina sta andando a gonfie vele. Qui si è scoperto, infatti, che è possibile produrre cristalli di meth utilizzando l’efedra, un arbusto fino ad ora considerato completamente “innocuo”. Ciò ha permesso agli agricoltori locali di oppio di aggirare il macchinoso procedimento della produzione classica consistente nell’estrarre la pseudoefedrina dai medicinali da banco – e di abbatterne enormemente i costi, visto che fino ad ora questi farmaci dovevano essere importati dall’estero. In questo modo si è potuto trasformare un settore prima rischioso dal punto di vista economico in una enorme fonte di reddito, al punto che nei soli due distretti di Khash Rod e Bakwa si è già registrata la presenza di 448 laboratori.
La domanda a sorgere spontanea, allora, è se questo eventuale secondo ban vorrà includere anche questa nuova fetta di mercato o se invece farà finta di niente, cercando di aggirare con una mossa di marketing il problema economico che sicuramente tale misura comporterebbe. Infatti, il grosso dell’economia afghana dai primi anni 2000 ad oggi si è sempre poggiata su due grossi pilastri: gli aiuti internazionali e la filiera dell’oppio. Difficilmente i talebani potranno permettersi di rinunciare anche solo ad una delle due, e questa nuova produzione di metanfetamine potrebbe fornire, almeno parzialmente o temporaneamente, una via d’uscita per il governo di Kabul. Dal canto suo invece la criminalità organizzata, che del traffico di stupefacenti gestisce i flussi, potrebbe guadagnare una nuova piazza sul mercato delle metanfetamine, ora sottoposto ad una nuova forma di concorrenza legata alla sua produzione che potrebbe portare ad un abbassamento generale del prezzo.
Da qui si arriva anche ad una considerazione più ampia, forse non così scontata come potrebbe apparire inizialmente: il mondo della droga non è statico, e la mafia questo lo sa bene. Un’eventuale carenza nel rifornimento di eroina non servirà a fermare quegli introiti. La mafia infatti può contare anche su un’altra caratteristica tipica del mondo della droga: “il consumo di sostanze stupefacenti è legato più che altro alla disponibilità di certe droghe sul mercato più che alle preferenze dell’individuo che fa uso o abusa di una particolare sostanza”.