Il significato della commissione d’inchiesta antimafia in Turingia

Mafia-Untersuchungsausschuss Landtag ThüringenErfurt

Nell’aprile 2021 il Parlamento della Turingia ha istituito una commissione d’inchiesta per far luce sulle indagini sulla mafia effettuate circa vent’anni prima in Turingia. In virtù della situazione dalla quale è scaturita l’inchiesta ci sono speranze di apprendere maggiori informazioni sull’infiltrazione mafiosa nei nuovi stati federali dopo la caduta del muro di Berlino e si spera che emergano i presunti collegamenti tra la mafia e la politica, l’amministrazione e il sistema giudiziario sui quali la mafia fa affidamento e dai quali mafianeindanke mette in guardia da anni anche nel contesto tedesco. Di seguito analizzeremo nel dettaglio il background e il significato della commissione d’inchiesta per la Germania.

Il modello italiano

Le commissioni d’inchiesta parlamentari antimafia sono state finora soprattutto un fenomeno italiano. Una delle più importanti è stata istituita in quell’anno di estrema criticità che è stato il 1992, quando mafia e stato si sono affrontati apertamente. L’8 giugno 1992 il parlamento italiano, eletto solo pochi mesi prima, istituì la quarta Commissione parlamentare antimafia, composta da membri del Senato e del Parlamento. Due settimane prima era stato ucciso nell’attentato di Capaci il popolare pubblico ministero del pool antimafia Giovanni Falcone, il mese successivo venne assassinato nello stesso modo il suo collega Paolo Borsellino a Via d’Amelio davanti alla casa di sua madre. In questa fase a Roma si decise di indagare sui rapporti tra mafia e politica affidando tale compito ad un potere previsto dalla Costituzione e il risultato fu tutt’altro che prevedibile. La cosiddetta Commissione “Violante”, dal nome del suo presidente, portò avanti un’importante attività di indagine coinvolgendo collaboratori di giustizia; cercò di tracciare le attività della mafia in sfere non convenzionali. Per la prima volta venne definito in ambito politico-istituzionale quel rapporto di “coabitazione” tra mafia e potere politico sul quale oggi non esiste alcun dubbio nella percezione pubblica e che è stato provato da lungo tempo nelle sentenze giudiziarie. La relazione finale di oltre trecento pagine della Commissione, redatta durante la legislatura più breve e travagliata di tutti i tempi, costituisce un bagaglio conoscitivo prezioso per la lotta contro la mafia istituzionale. È stata l’ultima legislatura della cosiddetta Prima Repubblica, scandita dagli attentati di Palermo, Milano, Firenze e Roma, dalle indagini sulla corruzione di Tangentopoli, dal processo ad Andreotti e dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi.

Il pendant della Turingia

Circa trent’anni dopo l’enorme importanza di quella attività d’indagine politica è indubbia, almeno all’interno dei confini italiani, e la commissione d’inchiesta è un’istituzione permanente. L’istituzione di un organo simile (ma non speculare!) in un contesto completamente diverso da quello della capitale italiana può apparire di primo acchito meno rilevante. Eppure si può affermare con franchezza che in un altro luogo d’Europa, in Germania, e precisamente in Turingia, è all’opera in questi mesi una commissione d’inchiesta parlamentare – regionale e quindi non nazionale – il cui lavoro potrebbe diventare il fulmine a ciel sereno per le mafie globalizzate, se solo lo si volesse, strappando il velo di inconsapevolezza diffusa su questo tema. Nell’aprile 2021 è stata istituita una commissione d’inchiesta con lo scopo di fare luce su un importante episodio locale di commistione tra mafia e istituzioni in Turingia. La mozione di minoranza presentata da Linke, SPD e Grüne al consiglio regionale che ha portato all’istituzione della commissione, riguardava inizialmente solo le circostanze in cui era avvenuta l’interruzione definitiva delle indagini condotte dalla procura di Gera sulla presenza delle ’ndrine Pelle e Romeo nella regione. Si sospetta che la prosecuzione delle indagini all’epoca fosse stata interrotta perché erano emersi dei possibili rapporti tra gli accusati ed esponenti della politica, dell’amministrazione o del sistema giudiziario.

Nel frattempo la commissione plenaria ha ampliato l’oggetto dell’indagine, che si estenderà all’intero processo evolutivo dell’insediamento della ’ndrangheta in Turingia. I deputati dovranno concentrarsi sul grado di consapevolezza delle autorità locali, sul loro impegno nel contenere l’azione criminale della mafia ed eventualmente sulla commistione con i soggetti sospettati. Ma andiamo per ordine.

L’antefatto

Nella seconda metà degli anni Novanta gli inquirenti della Turingia iniziarono a porsi domande sulla possibile presenza della ‘ndrangheta nella loro zona. Neanche un decennio dopo la caduta del Muro di Berlino e della conseguente riunificazione dell’Est e dell’Ovest della Germania la Turingia era, come ogni altro territorio della Germania orientale, ancora occupata a rimettere insieme i cocci prodotti dall’impatto fatale dello scontro ideologico, politico e sociale tra il mondo occidentale e la RDT. Nel frattempo si sa che in questa frattura, individuale e collettiva, si sono inserite anche le cosche mafiose italiane, come constata la DIA, il massimo organismo investigativo antimafia italiano, nella sua prima relazione semestrale del 2018, nella quale si afferma che le famiglie mafiose poterono sfruttare in modo ottimale “le opportunità economiche derivanti dalle difficili condizioni socio-economiche connesse alla riunificazione nazionale degli anni ’90, attraverso consistenti speculazioni finanziarie e immobiliari”.

Queste potrebbero includere anche la Treuhand, fondata nel 1990 con l’unico obiettivo di privatizzare più di 8.500 aziende statali, circa 2,4 milioni di ettari di terreni agricoli e foreste, di proprietà dell’ex Stasi, grandi complessi abitativi pubblici e la rete delle farmacie statali. Fu lo stesso presidente della Treuhand dell’epoca a dichiarare che la corruzione “è inevitabile, quando si lavora con migliaia di imprese.”

A quel tempo il team investigativo guidato da Bernd Finger intercettò una conversazione emblematica tra due membri della ‘ndrangheta, nel corso della quale uno dei due interlocutori sollecitava l’altro “a comprare, comprare, comprare”! E proprio la ‘ndrangheta era in grado più delle altre organizzazioni criminali “storiche” italiane di sfruttare a proprio vantaggio l’enorme prateria economica della Germania. Già negli anni Novanta uno studio della DIA e dell’Ufficio federale anticrimine (BKA) sosteneva che in Germania circa cento cittadini erano in rapporti con clan mafiosi, circa il 50 % dei quali si era insediato nel Baden-Württemberg, una delle regioni economicamente più virtuose dell’Unione Europea (mafianeindanke ne parla regolarmente), insieme con la Catalogna e la Lombardia. Oltre trenta anni dopo la situazione è più che peggiorata: nel 2020 il BKA stimava che il numero di mafiosi italiani presenti in Germania raggiungesse le 770 unità: tra gli altri 505 erano membri della ‘ndrangheta, 109 di Cosa Nostra, 30 di Stidda, associazione nata dalla scissione di Cosa Nostra, 101 erano camorristi (a partire dalla sua partecipazione ad un convegno di mafianeindanke, l’ufficio dei deputati dei Verdi presieduto da Irene Mihalic chiede regolarmente dati aggiornati in materia al governo federale). È anche emerso che il governo federale stima che la quota sommersa dei membri della ‘ndrangheta si aggiri sulle 800-1000 persone. Queste cifre sono però ancora troppo basse: il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha affermato in diverse interviste che le “locali” di ‘ndrangheta, vale a dire una sorta di associazioni locali della ‘ndrangheta in Germania, sono “almeno 60”. Ogni “locale” ha per regolamento un minimo di 50 membri (e non un massimo di 50, come indicato nella risposta del governo federale!), il che porterebbe il numero effettivo al triplo della stima più alta da parte del governo federale, cioè 3000 persone. Pertanto non stupisce l’affermazione dell’ex presidente del BKA, Jörg Ziercke: durante un convegno del 2013 in memoria del giornalista siciliano Beppe Alfano, vittima innocente della mafia, pronunciò la frase: “La criminalità (organizzata) in Germania si chiama ‘ndrangheta’.

Alla fine degli anni ‘90 l’infiltrazione della mafia in ampie e vaste aree attirò l’attenzione della Procura di Gera e degli investigatori. Petra Reski e Jürgen Roth erano stati i primi a raccontare queste indagini, poi hanno iniziato giornalisti e giornaliste dell’emittente radiotelevisiva Mitteldeutsche Rundfunk (mdr) e del giornale FAZ a documentarsi sul tema. È così emerso che alcuni “ristoratori” calabresi, giunti in Turingia dopo il 1992, sono stati messi sotto osservazione nell’ambito della cosiddetta operazione “Fido”. Sono state fatte delle intercettazioni, circa 4.000, e si è persino riusciti a infiltrare per molto tempo degli agenti sotto copertura nel “gruppo di Erfurt”, vale a dire nella ‘ndrangheta locale responsabile per il territorio di Erfurt, capitale della Turingia, la città con la densità di popolazione maggiore della regione, una associazione che fa capo alle famiglie Pelle e Romeo.

L’apparente e tipica normalità tedesca che permea la vita quotidiana della città, sede dei più importanti movimenti antisovietici negli anni immediatamente precedenti la caduta del muro di Berlino, può ingannare gli osservatori meno attenti. Ma Jürgen Roth scriveva a tal proposito che i calabresi avevano “acquisito una sorta di monopolio nel settore della ristorazione”.

Le persone in gioco

La presenza della ‘ndrangheta si è stabilizzata ormai da decenni: come racconta Francesco Forgione con abbondanza di particolari nel suo libro “Mafia Export”, già negli anni ‘90 Erfurt aveva ospiti “eccellenti”. Domenico G. aprì ad esempio due ristoranti nel centro di Erfurt, dopo aver per anni gestito la pizzeria “Da Bruno”, divenuta tristemente nota per essere stata lo scenario della strage di Duisburg. I ristoranti ebbero particolare successo nel mondo alto borghese della capitale turingia, anche grazie al loro prezioso collaboratore Spartaco P., nel frattempo deceduto. Nato in Toscana, ma anche di origini calabresi, il signor P. era ben noto alle forze dell’ordine tedesche e italiane. Lo definivano “uno dei principali organizzatori del gruppo della ‘ndrangheta calabrese, e in particolare quella di San Luca, che decidono di investire in Germania comprando ristoranti, pizzerie e alberghi nella zona di Duisburg ed Erfurt”. Questi sono alcuni dei temi sui quali si è concentrata l’indagine FIDO. Oltre a Domenico G. vivevano ad Erfurt anche suo cognato Giuseppe G. e suo cugino e cognato Domenico G. I membri della mafia hanno spesso nomi e cognomi uguali. Gli investigatori li distinguono in base alla loro data di nascita o al nome dei genitori. Il proprietario del ristorante “Da Bruno” dell’epoca era nato nel 1963, il suo parente nel 1960. G. “63” era ben noto alle autorità italiane già prima del suo arrivo in Germania: un provvedimento della questura di Reggio Calabria del febbraio 1986 lo definiva come “sospettato di essere uno dei giovani di San Luca più capaci nel campo dei sequestri di persona, delle rapine, delle estorsioni e di altri reati commessi in Calabria, sulla costa ionica e nel Norditalia e di assistere i latitanti.”

Essi fanno parte del clan Pelle, sia dal punto di vista criminale che da quello dei legami familiari: Giuseppe G. è sposato con la nipote di Antonio Pelle detto “Gambazza”, un boss di altissimo livello arrestato nel 2009 dopo anni di latitanza e morto alcuni mesi dopo di infarto cardiaco. La storia della ‘ndrina Pelle, dei suoi alleati, delle morti subite e procurate, dei loro interessi economici e criminali abbraccia un arco di diversi decenni. Nonostante l’arresto nel marzo 2021 a Lisbona di Ciccio Pakistan (Francesco Pelle), che si vantava di appartenere alla top ten dei latitanti pericolosi d’Italia, tale storia non è ancora conclusa. La famiglia Pelle apparteneva ad un gruppo invischiato nella faida sanguinosa che portò nel 2007 alla strage di Duisburg: sei di loro, di età compresa fra i 16 e i 39 anni, furono uccisi dai membri del clan Nirta Strangio. La faida iniziò nel 1991 e fu terminata dai capi della ‘ndrangheta dopo la prima strage mafiosa della storia, pertanto spettacolare, avvenuta al di fuori dei confini italiani. Questa, pur interessantissima, è però un’altra storia.

A che cosa deve mirare una commissione d‘inchiesta

A questa situazione fa capo la commissione d’inchiesta di Erfurt. Per tornare ai Pelle-Vottari: in Turingia sono o erano presenti altre importanti personalità del clan: Giuseppe P., responsabile dell’omicio di un rivale del clan D’Agostino in Italia e genero della ‘drina Barbaro di Platì; Giuseppe N. (di Locri, da non confondere con i nemici Nirta-Strangio), cogestore di uno dei due ristoranti di Erfurt menzionati sopra; Domenico G. (nato nel 1975), un altro cugino omonimo di G. “63”. Per un breve periodo tra il 2003 e il 2005 si aggiunsero ad essi Sebastiano P., Santo V., Francesco V. e Sebastiano R., personalità di spicco nel contesto della ‘ndrangheta. Ma, al di là della la somiglianza dei nomi o della frequente assoluta omonimia che indicano l’importanza dei legami familiari nell’ambito della ‘ndrangheta, sono molto più importanti gli schemi d’azione e il radicamento di queste persone nel territorio d’insediamento. Questi schemi si riscontrano in Turingia, ma si ripetono anche in tutta la Germania, comprese quelle aree con alta densità di popolazione mafiosa come il Baden-Württemberg. Zora Hauser, sociologa e ricercatrice a Oxford, si occupa da quattro anni della ‘ndrangheta in Germania. Ha constatato che “a differenza della Calabria, nella quale la distribuzione del potere è saldamente legata ad una suddivisione del territorio mirante a non farsi la guerra, in Germania si osserva una sovrapposizione di diversi clan, anche nemici tra di loro, negli stessi territori geografici”.

Il fatto che così tanti ‘ndranghetisti gestiscano un ristorante non deve indurre a concludere che tutte le aziende attive nel campo della gastronomia siano mafiose. Sebbene questa precisazione possa sembrare banale, deve essere fatta, come sottolinea anche Pino Bianco, un gastronomo da decenni stanziato a Berlino. Il suo ristorante italiano “A Muntagnola” è uno dei più longevi spazi di italianità a Schöneberg, un quartiere simbolo delle battaglie LGBTQ+. Nel 2007 il proprietario è stato uno dei fondatori di mafianeindanke. “Dopo i fatti di Duisburg le persone chiedevano ai tassisti se era sicuro mangiare da noi. La Bild Zeitung titolò “Chi va in pizzeria arrotonda il pizzo” e solo nel tempo abbiamo smentito questa convinzione.“ Oltre all’obiettivo di segnalare il pericolo costituito dalla criminalità organizzata italiana in Germania, mafianeindanke ha anche quello sostanziale di proteggere la popolazione di origine italiana, che solo in piccolissima parte ha legami mafiosi.

La narrazione dominante propone inoltre la raffigurazione del mafioso all’estero come quella del delinquente che, dopo aver compiuto crimini terribili ed efferati in Italia, ha bisogno di un luogo nel quale possa investire il capitale accumulato. Per questo motivo c’è una – quasi totale  – sovrapposizione tra la figura del mafioso e quella del ristoratore. Tuttavia, sebbene essa trovi conferma in tutto il Paese, la supposizione che il ruolo del potere mafioso in Germania sia esclusivamente legata al “food-laundering “, vale a dire al riciclaggio mediante l’attività di ristorazione, è inammissibile. Se la si prende in considerazione si rischia di considerare i mafiosi come dei delinquenti primitivi che si concentrano su attività poco complesse come il riciclaggio mediante i ristoranti. Gli ultimi anni hanno mostrato che la mafia non ha scrupoli a compiere anche reati di una certa complessità, come quello recentemente scoperto riguardo all’IVA (https://mafianeindanke.de/frodi-sulliva-specialita-anche-della-ndrangheta/) ed è in grado di trasferire, investire e riciclare somme notevolmente maggiori. Questo sottolineano anche le inchieste Fido. È proprio un imprenditore mafioso intercettato nel contesto dell’operazione Fido, che al telefono con un “collega” asserisce: “Se volessimo solo fare i gastronomi basterebbe un piccolo ristorante con dieci tavoli. Noi siamo investitori”. Tuttavia, per essere un investitore con grandi disponibilità di capitali è necessario più di qualche tavolo, un cuoco e dei dipendenti. Serve ciò che le organizzazioni criminali in Italia hanno ottenuto nel corso dei secoli di controllo territoriale: la protezione della politica, quella coabitazione che la commissione Violante in Italia ha ampiamente esaminato. E il sospetto che le famiglie calabresi trapiantate in Germania ne godano già da decenni ha portato all’istituzione della commissione d’inchiesta nel Parlamento della Turingia.

La MDR ha scoperto che l’operazione Fido si è interrotta drasticamente e in modo definitivo nel 2006. La motivazione ufficiale di questa interruzione è stata il pericolo derivante dalle misure investigative: alla fine del 2001 un agente sotto copertura era stato invitato ad un matrimonio a San Luca e la procura di Gera decise di coordinarsi con le autorità italiane per continuare le indagini. Dopo l’assenso dell’Italia arrivò però lo stop da parte della procura della Turingia, sovraordinata a quella di Gera, che decise di non proseguire con la strategia dell’infiltrazione di agenti. Venne così annunciata la fine di un’indagine, i cui atti furono formalmente chiusi nel 2006 e che fu dimenticata fino a quando non la scoprirono i giornalisti della MDR, senza i quali non se ne saprebbe nulla.

Ora i deputati del Landtag dovranno riesaminare tutti gli atti dell’indagine e verificare se ci sono stati dei legami fra politici, funzionari giudiziari e i Pelle-Romeo. Non stupirebbe se così fosse. È già noto che Pitanti e Giorgi “63” avevano trovato amici importanti come Bernhard Vogel, un politico della CDU, e Richard Dewes della SPD, rispettivamente ex Primo Ministro e Ministro degli interni della Turingia. Come racconta Francesco Forgione in “Mafia Export”, i due politici erano effettivamente a cena al Paganini quando la polizia perquisì il ristorante nel contesto di un’indagine per omicidio. Per migliorare la propria posizione nel ceto alto borghese di Erfurt alcuni mafiosi finanziarono anche la squadra di calcio biancorossa di Erfurt e fecero donazioni a orfanotrofi e enti culturali. Secondo le informazioni dei giornalisti della MDR il gruppo di Erfurt è costituito da circa 50 imprese e il sospetto che i suoi membri siano in grado di infiltrarsi in circuiti istituzionali e finanziare direttamente politici locali non è infondato. E proprio in questo spazio di inconsapevolezza si dovrà muovere la commissione d’inchiesta.

“È nostro compito come Parlamento “, ha affermato la presidentessa della commissione Iris Martin-Gehl (Linke) durante la seduta plenaria dell’aprile 2021, “esprimere il sospetto che politica, amministrazione e giustizia siano molto prossime alla criminalità. Dobbiamo esaminare accuratamente queste strutture perché sono queste strutture mafiose a essere coinvolte nel riciclaggio di denaro e in altri reati, i cui crimini diventano la fonte di miliardi di euro di guadagno ogni anno per loro e di danni economici per l’UE.” Mafianeindanke riconosce anche il significato del lavoro della commissione – Come Mafianeindanke, siamo estremamente attenti al prosieguo dei lavori della commissione. Oggi il contesto inizia a cambiare ma dobbiamo fare tanta strada per colmare questo ritardo.

Ciò che avviene nella commissione in Turingia può diventare un faro nella lotta contro la mafia. Punti di partenza promettenti ci sono. Ad esempio una testimone del BKA ha raccontato che un procuratore allora le ha assicurato che le indagini sulla ‘ndrangheta ad Erfurt sarebbero state certamente portate avanti per almeno cinque anni, ma una settimana dopo aveva fermato la procedura. Per chiarire questioni come questa o altre domande si dovrebbe probabilmente aumentarne l’intensità. Si spera che la Germania nel lungo periodo non sia soggetta ad una fase come è avvenuto in Italia: il Paese ha la “migliore” (nonché l’unica) legislazione antimafia in Europa, può trarre profitto dall’eccellente contributo di uomini e donne magistrati nonché di corpi di polizia specializzati, è la patria delle organizzazioni antimafia più longeve del mondo – e ciononostante assiste ad un progressivo disinteressamento della politica e della società alla lotta contro la mafia. Mentre organizzazioni criminali sono diventate s.p.a. fittizie, multinazionali con ramificazioni globali, la questione mafie è rimasta relegata all’intervento di poche persone, professionisti e non, e rientra molto di rado tra le priorità dell’agenda politica dei grandi partiti nazionali. Una pia speranza sarebbe che dalle indagini di Erfurt emerga un impulso che spinga non soltanto l’Italia, ma tutta l’Europa a prendere finalmente sul serio il pericolo rappresentato dalla ‘ndrangheta e dalla criminalità organizzata transnazionale.