Quando parliamo di riciclaggio, non possiamo non tener conto della recente e straordinaria diffusione della criptovaluta virtuale[1] e le sue implicazioni. La domanda che sorge spontanea è: questo strumento danneggia la lotta al riciclaggio di denaro e alla criminalità organizzata? I bitcoin [2]non sono né emessi né garantiti da una banca centrale come avviene nel caso del denaro tradizionale: proprio questa struttura decentralizzata e le transazioni preudoanonime della criptovaluta la rendono attrattiva, quindi, non solo per fruitori legittimi ma anche per gruppi criminali. Il ‘denaro virtuale’ ha un valore concordato tra le parti, sulla base della legge della domanda e dell’offerta, ed è scambiato direttamente tra un utente e l’altro. Il venir meno del bisogno di intermediari, primi tra tutti le banche tradizionali, ha posto il problema di chi oggi ha il compito di segnalare alle autorità competenti le attività o transazioni sospette. Sia diversi istituti internazionali che si occupano di misure antiriciclaggio, sia le autorità europee parlano della necessità di una strategia di prevenzione per contrastarne l’abuso. A tale proposito, sono state proposte una serie di modifiche della quarta Direttiva europea antiriciclaggio, pubblicata nel maggio 2015 e avente come quadro di riferimento il rafforzamento della lotta contro il finanziamento del terrorismo. Tra le modifiche proposte dalla Commissione europea c’è quella di far rientrare nel campo d’applicazione della direttiva antiriciclaggio almeno le piattaforme di scambio di valute virtuali (gli organismi di exchange) e i prestatori di servizi di portafoglio digitale (custodian wallet provider).
Lo scopo è quello di identificare, perseguire, ma soprattutto prevenire reati finanziari che implicano l’uso di criptovalute virtuali. La sfida in questo senso è implementare una pratica normativa che rimanga favorevole all’innovazione, nel rispetto dei diritti fondamenti dei singoli – compresa la protezione dei dati e le libertà economiche -, che non si riveli quindi una regolamentazione restrittiva tout court. A tale proposito, secondo le raccomandazioni stilate ad inizio 2017 al termine del progetto di ricerca BITCRIME, finanziato dal Ministero tedesco dell’educazione e della ricerca (BMBF), l’integrazione di criptovalute virtuali nel metodo classico di prevenzione del riciclaggio di denaro è considerato inadeguato, oltre che impattare negativamente sugli utenti legittimi. È auspicabile pertanto una regolamentazione obbligatoria ad hoc, ad esempio basata su liste nere delle transizioni, finalizzata a prevenire lo scambio di criptovalute della lista nera in valute reali o beni e servizi reali. Tale regolamentazione deve essere uniforme a livello europeo ma dovrebbe puntare fin da subito ad una più ampia e condivisa cooperazione internazionale; questo per due motivi: il primo, per evitare strategie di elusione, il secondo per ovviare ad effetti di spostamento dal mercato europeo. Sempre tra gli obiettivi a breve termine, rimane quello di uniformare la punibilità dei reati connessi alla criminalità informatica.
Sebbene i flussi finanziari complessivi in criptovaluta risultino ancora modesti rispetto a quelli globali, l’evoluzione di questa tecnologia (cosiddetta del blockchain) sta aprendo scenari inediti, offrendo sia nuove opportunità che rischi. Le criptovalute permettono di pagare da qualsiasi parte del globo in tempi ridotti, in modo sicuro e senza lo scambio di informazioni sensibili, oltre al fatto che per aprire un conto in criptovaluta, il cosiddetto ‘wallet’ bastano pochi minuti. La necessità di capirne la natura tecnica e limitarne, quindi, le implicazioni criminali non deve essere percepita come contrario all’utilizzo di criptovalute virtuali in sè (lo stesso discorso vale per l’utilizzo del web, in questo caso del dark web, che ha influenzato pesantemente il mondo criminale ma non per questo si nega la natura rivoluzionaria di internet), anche se c’è il rischio di ostacolare lo sviluppo di questo strumento in nome della lotta all’uso criminale della criptovaluta. La nascita e diffusione del bitcoin, infatti, rappresenta una sfida al sistema bancario tradizionale, in particolare critica alla base la politica monetaria attuata dalle Banche Centrali, e mette al centro l’intera community degli utilizzatori.
Come sottolineato da più voci, il futuro della criptomoneta virtuale (NB: non la sua esistenza) varierà a seconda dello sviluppo legislativo in materia da parte degli stati e degli organi internazionali/sovranazionali. Per ora ogni paese inquadra la criptovaluta virtuale nel proprio ordinamento in modo differente (si veda il caso della Cina e della Corea del Sud che hanno dichiarato di volerne limitare pesantemente l’utilizzo) e le norme in materia sono in continua evoluzione. In particolare, le misure adottate e quelle che verranno proposte per prevenire e contrastare il rischio concreto di usi illeciti (compravendita di materiale illecito, cybercrime ed evasione fiscale), money dirtying e riciclaggio mediante criptovalute impatteranno sul futuro della criptovaluta stessa. Quello che è certo è che, mentre sulla materia aleggia ancora una forte incertezza giuridica e molti sono ancora gli ostacoli nello scambio informativo tra le forze dell’ordine e investigatori tra i diversi paesi, la criminalità organizzata si sta servendo delle più moderne tecnologie informatiche.
[1] Attualmente le criptovalute virtuali in circolazione sono più di 500; le principali dopo il Bitcoin, sono Litecoin, Ethereum, Ripple, Dash Digital Cash e Monero.
[2] Esempio di criptovaluta virtuale più conosciuta; dominio apparso per la prima volta nel 2008; solo nel 2017 ha registrato una crescita del 1000 per cento.