Scrivere e fare ricerca sul tema mafia è un lavoro ingrato – specialmente in Italia, dove, secondo un rapporto della commissione parlamentare antimafia, tra il 2006 e il 2014 più di 2.000 giornalisti sono stati vittima di intimidazioni (https://correctiv.org/it/inchieste/mafia/blog/2015/08/06/oltre-duemila-i-giornalisti-minacciati-dalle-mafie-italia/). Gli attacchi e le minacce sono la normalità per i giornalisti antimafia.
In Germania, la situazione è diversa: solo pochi i casi di giornalisti attivamente minacciati da membri di organizzazioni criminali – e generalmente senza conseguenze. Soprattutto la mafia italiana sa che la violenza e l’intimidazione generano troppa attenzione. Ma esistono metodi meno visibili per evitare che i giornalisti interferiscano negli affari della criminalità organizzata.
La strategia preferita è quella di citare in giudizio i giornalisti. A riguardo, i membri delle organizzazioni criminali italiane attivi in Germania hanno grande successo.
Ciò è dovuto principalmente a due fattori: in primo luogo, l’appartenenza ad una organizzazione mafiosa non è penalmente rilevante in Germania. Questo significa che anche se una persona mantiene stretti contatti con una organizzazione criminale, non è di per sé punibile. Quindi se si definisce “mafiosa” una persona che ha contatti dimostrabili con la mafia, questo può essere considerato calunnia, a prescindere dalle circostanze.
In secondo luogo, la giustizia tedesca prende molto seriamente il cosiddetto “segnalazione di sospetti”: mentre in Italia vengono regolarmente riportati dai media i nomi delle persone sotto indagine, in Germania possono essere resi pubblici solo i nomi delle persone che hanno già ricevuto la condanna per i reati commessi.
Questa consuetudine ha ottime ragioni di esistere, poiché rappresenta il cosiddetto “principio di innocenza”. Il problema è che, per questo, i membri della criminalità organizzata italiana operanti in Germania sono raramente condannati.
Ne è un esempio il caso di un gruppo di aziende di Erfurt, su cui il BKA ha iniziato a investigare a partire dagli anni ’90. Nelle relazioni annuali delle indagini penali queste persone sono esplicitamente menzionate come sostenitori della ‘ndrangheta calabrese. Traffico di droga, tentato omicidio, possesso di armi illegali, frode e riciclaggio di denaro sono solo alcuni dei reati di cui vengono accusati. Ma solo in un caso c’è stata la condanna.
Nonostante gli investigatori italiani e tedeschi abbiano confermato, in alcune interviste, il loro background, questi imprenditori criminali risultano de facto intoccabili: fino a quando non sono personalmente coinvolti in un crimine non c’è modo di portarli a giudizio. La magistratura italiana ha ripetutamente tentato di scoprire la loro rete ma fino a quando operano in Germania, ci sono poche possibilità di tracciare attentamente le loro attività.
Tutti i giornalisti che hanno riferito sulle attività di questo gruppo sono stati immediatamente citati in giudizio. Il caso più recente: tre giornalisti hanno fatto un documentario sul cosiddetto “gruppo di Erfurt” a nome di MDR (Mitteldeutscher Rundfunk, parte della rete televisiva pubblica tedesca) sono stati citati in giudizio da un probabile membro del gruppo. Il tribunale amministrativo ha dato ragione in prima istanza agli imprenditori. Il documentario è stato rimosso dalla mediateca.
Anche famosi giornalisti antimafia tedeschi sono stati vittime di questa strategia: Petra Reski e Jürgen Roth hanno dovuto censurare passaggi importanti dei loro libri dopo feroci battaglie legali.
Questo consente alla mafia di trovare le condizioni ideali per le loro imprese: gli editori preferiscono evitare di essere coinvolti in qualsiasi pantano giudiziario, e quindi rifiutano in linea di principio tutti i soggetti su tematiche legate alla presenza mafiosa in Germania.
Se non si parla di mafia in Germania, allora neanche esiste.
E meno si parla della mafia, più fioriscono le loro imprese.