Come le loro controparti in Unione Europea, anche le banche svizzere sono molto spesso coinvolte in eventi di riciclaggio di denaro sporco. Ecco qualche esempio recente. Nel febbraio 2019 un tribunale parigino ha condannato la maggiore banca svizzera, la UBS, a pagare una multa record di 3,7 miliardi di euro nonché 800 milioni di risarcimento per riciclaggio di denaro e frode fiscale a favore di clienti francesi. Tuttavia, questi avvenimenti hanno nella maggior parte dei casi un contesto internazionale, che non si limita quindi alla sola Svizzera, e sono in relazione diretta con la corruzione. Nello scandalo del fondo statale della Malaysia 1MDB erano coinvolte tra l’altro la UBS, la banca privata BSI, la Falcon Private Bank e la banca privata Coutts. Da questo fondo sono stati dirottati 7,5 miliardi di dollari. Inoltre, le banche svizzere erano coinvolte nei casi di corruzione della multinazionale energetica Petrobras e del consorzio edilizio Odebrecht, ambedue aziende brasiliane. Anche qui si parla di fondi corrotti, ossia dirottati, che ammontano a miliardi. La Credit Suisse, la seconda banca più grande della Svizzera, ha fatto scalpore perché coinvolta nel caso di corruzione attorno alla FIFA.
Cosa rende il mercato finanziario svizzero così vulnerabile al riciclaggio di denaro?
Il motivo di questa vulnerabilità si trova nello specifico modello di affari delle banche svizzere, le quali si affermano nel mondo della concorrenza internazionale come crocevia dell’amministrazione dei patrimoni privati. Ci sono vari motivi per cui i clienti in tutto il mondo scelgono la Svizzera come paese d’investimento. Sicuramente influisce il segreto bancario svizzero, anche se esso è diventato più permeabile. La Svizzera, infatti, ha dovuto accettare lo scambio di informazioni fiscali secondo gli standard della OCSE.
Il private banking per i clienti benestanti e il wealth management, che riguarda la gestione di patrimoni privati, sono sempre un asset importante del mercato finanziario della Svizzera. Si parla nello specifico della complessiva tutela finanziaria di persone private e dei loro patrimoni. In Svizzera, banche ed amministratori dei beni gestiscono in totale 3,7 biliardi di franchi svizzeri. Il 62 % di loro non sono domiciliati all’estero. Il mercato finanziario svizzero occupa tra 1/4 e 1/3 del mercato globale. L’ amministrazione dei patrimoni è dunque uno dei servizi di esportazione più importanti della Svizzera. I patrimoni privati che vengono gestiti oltre confine sono aumentati di 300 miliardi di franchi svizzeri dal 2013 al 2018.
L’amministrazione dei beni privati ha una vasta infrastruttura di personale. Fanno parte di questo network non solo le banche svizzere ma anche fiduciari ed avvocati. Viene da sé osservare che questi servizi finanziari attraggano anche i criminali. I fondi che vengono generati illegalmente vengono fatti girare più volte tra prestanomi e società offshore. Nella fase finale del riciclaggio, cioè la fase degli investimenti, questi fondi vengono poi immessi verso prodotti finanziari e nell’economia reale.
In questo modo il wealth management è una porta d’accesso per la criminalità finanziaria e per l’economia sommersa.
Il modello di affari dell’amministrazione dei beni privati è cambiato nel secondo decennio di questo secolo.
Una delle attività principali della maggior parte delle banche svizzere era stata fino ad ora la tutela di clienti stranieri.. I principali beneficiari erano i clienti statunitensi ed europei, soprattutto tedeschi, che si servivano di succursali e società affiliate come tramite. I patrimoni di questi clienti spesso consistevano in fondi neri. In Germania, tra l’altro, il ministro delle finanze del Nordreno-Vestfalia, comprò i cosiddetti Steuersünder Cd’s, dei CD che contenevano i dati rubati riguardanti i clienti delle banche che operavano evasione fiscale. Ottenuti questi dati, vennero avviati molti procedimenti di frode fiscale contro clienti in Germania e contro le banche svizzere. Quindi, i clienti con fondi illeciti nei conti bancari in Svizzera ritennero opportuno auto-denunciarsi per ottenere un’attenuazione delle pene.
In aggiunta, la Svizzera perse in una controversia fiscale con gli Stati Uniti scoppiata nel 2008. Ne conseguì che, all’inizio del 2009, l’autorità fiscale statunitense IRS annunciò un programma di condono. Gli evasori fiscali americani, per legalizzare i loro fondi ed evitare di essere perseguiti penalmente, dovettero nominare banche e consulenti che li avevano aiutati ad incanalare il loro denaro verso le autorità fiscali. I dipendenti delle banche svizzere negli Stati Uniti vennero arrestati e condannati al carcere. Il “modello d’affari” delle banche svizzere fallì. Di conseguenza, gli affari con clienti americani ed europei oltre i confini dovettero essere limitati drasticamente. Davanti agli occhi dell’opinione pubblica internazionale la Svizzera si atteggiò a peccatore pentito che avrebbe seguito in futuro una “strategia di soldi puliti” (“Weißgeldstrategie”) per riottenere la riputazione persa. La Svizzera dunque avrebbe accettato solo investimenti di cui le origini legali fossero state controllate dalle banche e considerando la legge fiscale nazionale alla quale i clienti devono attenersi per assicurare l’assenza di pericolo.
Una strategia di soldi puliti è un’altra cosa
In realtà, le banche svizzere non abbandonarono interamente il vecchio modello di affari, bensì lo modificarono. Rafforzarono invece le loro attenzioni ai super ricchi nei mercati emergenti, che sono di solito controllati da autorità dei mercati finanziari, enti fiscali ed autorità inquirenti più lassiste. Nei mercati dell’Asia e del Sudamerica, molti fondi di clienti dubbi sono stati ricevuti da gestori finanziari delle banche svizzere in loco. In questo modo, i soldi ricevuti dalle banche svizzere e quindi riciclati non dovevano più essere trasferiti sui conti bancari e depositi svizzeri, ma potevano essere immessi in paesi terzi.
Gli “High Performer” tra i consulenti incassavano dei bonus enormi in questo nuovo settore di affari immensamente proficuo. Inoltre, all’avvio delle relazioni d’affari, sui nuovi clienti e sui loro valori patrimoniali non veniva effettuato quasi alcun controllo da parte dei consigli di amministrazione delle banche svizzere e dei loro ‘’compliance officers’’ dei servizi interni antiriciclaggio. Mentre i requisiti interni rispetto all’assistenza verso i clienti dovevano eseguiti dagli impiegati bancari sempre più attentamente, ed il numero dei sospetti segnalati dalle banche svizzere – com’è successo pure presso le banche UE – è aumentato notevolmente, le punte di diamante nel ramo della consulenza avevano invece campo libero per reclutare nuovi clienti. Infatti, vi erano ben pochi casi sospetti segnalati alle istituzioni statali per questo tipo di clientela. In seguito, l’autorità fiscale svizzera FINMA ha definito requisiti più severi nei confronti della “know your customer policy” – soprattutto nel caso della banca privata Julius Bär.
Usare due pesi e due misure non è però soltanto un fenomeno svizzero. Simili deficit si sono notati anche presso delle banche dell’UE. Quale banca orientata al profitto segnala a cuor leggero alle autorità fiscali i suoi clienti migliori che generano ricavi elevati? Anche se con questo modo di agire si corre il rischio che una volta fatta chiarezza la banca si trovi di fronte enormi problemi di reputazione e debba aspettarsi dei rischi operativi nel bilancio. In questa prospettiva il divorzio dal “buon cliente” sarà più l’eccezione che la regola.
Un ampio “Whistleblowing System” deve fiancheggiare la segnalazione dei sospetti
Secondo l’opinione di mafianeindanke, una strategia efficace contro il riciclaggio di denaro deve partire dal ripensamento dell’attuale approccio che è diventato standard in Europa e a livello globale.
Naturalmente è sensato che le autorità di vigilanza continuino ad esigere il rigoroso rispetto dell’obbligo di segnalazione dei sospetti e degli obblighi di assistenza alla clientela da parte delle banche e di altri soggetti obbligati. Tuttavia, i meccanismi di esaminazione delle autorità fiscali – anche se il numero delle prove in loco aumentasse notevolmente – non rilevano pienamente i casi gravi di riciclaggio di denaro. Le banche possono correre il rischio di non rispettare la legge sul riciclaggio di denaro perché nella maggior parte dei casi sfuggono ai controlli delle autorità di vigilanza e investigazione.
Una maggiore quantità di controlli potrebbe essere ottenuta affiancando all’esistente meccanismo della segnalazione di sospetti un funzionante sistema di Whistleblower, ovvero di informatori. I Whistleblower sono persone che rivelano o denunciano violazioni della legge o altri comportamenti scorretti. Ci sono delle aree sociali ed economiche in cui gli informatori sono indispensabili. Per esempio, nell’ambito del riciclaggio di denaro e della corruzione. La creazione di “sistemi di whistleblower” fa parte degli obblighi delle autorità di vigilanza nella legge tedesca sul riciclaggio di denaro. In pratica, però, questi obblighi hanno solamente un carattere simbolico se formulati in termini generici. Finora questi sistemi non sono operativi. Non proteggono efficacemente l’informatore quando lui si rivolge all’esterno. Non c’è quindi da stupirsi che molti dipendenti di banche e di altre aziende che vogliono denunciare irregolarità preferiscano rimanere anonimi o addirittura tenere per sé le loro conoscenze.
In Svizzera la situazione è ancora più insoddisfacente. Finora il Consiglio federale (Bundesrat) ha respinto qualsiasi iniziativa di regolamentazione giuridica in questo settore. Gli informatori quindi rischiano di essere licenziati, ed essere soggetti non solo ad una condanna sociale ma anche ad un’azione penale nei loro confronti.
Nell’ottobre 2019 l’Unione Europea ha emesso una direttiva per proteggere le persone che nel loro ambito professionale segnalano le violazioni delle vigenti leggi europee. La legislazione tedesca deve implementare questa direttiva entro due anni. La società civile dovrebbe interessarsi alla questione fin da subito.
Mafianeindanke lo farà senz’altro.