Sentenza storica sulla trattativa Stato-mafia

Trattativa Stato Mafia

Il 20 aprile la Corte di Assise di Palermo ha emesso una sentenza decisiva sulle presunte trattative avvenute nel corso degli anni Novanta in Italia tra politici e mafiosi. Il processo, che è durato cinque anni e sei mesi, ha determinato una pena compresa tra gli otto e i ventotto anni di carcere prevista per mafiosi e uomini delle istituzioni. Il reato di cui sono stati ritenuti colpevoli è violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato (art. 338 cp): nel concreto sono accusati di aver minacciato il governo di rispondere con altre bombe e stragi a un eventuale proseguimento dell’offensiva antimafia dell’esecutivo.

La sentenza ha visto coinvolti nomi noti: ha stabilito una pena di otto anni per l’ex colonnello Giuseppe De Donno e per Massimo Ciancimino, quest’ultimo accusato di concorso in associazione mafiosa e calunnia dell’ex capo della polizia De Gennaro, al quale dovrà risarcire i danni. Ammontano a ventotto gli anni di reclusione previsti per il cognato di Totò Riina, il boss Leoluca Bagarella; dodici anni invece al medico fedele di Riina, Antonino Cinà; le accuse nei confronti del pentito Giovanni Brusca sono state prescritte e due ministri imputati, Nicola Mancino e Calogero Mannino, sono stati invece assolti. Gli ex vertici del Ros, Mario Mori e Antonio Subranni, sono stati condannati a dodici anni, ma sono stati assolti invece per quanto riguarda il periodo successivo al 1993.

Più complesso il discorso riguardo l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, condannato a dodici anni per lo stesso reato. Già nella sentenza della Cassazione del 2012 si affermavano i suoi contatti con Cosa nostra nel periodo dagli anni Settanta al 1992: nel 1974 organizzò un incontro tra Berlusconi e i vertici di Cosa nostra (all’epoca i boss Bontade e Teresi), cui seguì l’accordo che prevedeva la protezione della famiglia di Berlusconi in cambio del pagamento periodico di cospicue somme di denaro con il tramite di Dell’Utri. Questi nel 1983 tornò alle dipendenze di Berlusconi e vi rimase fino al 1992, quando pareva fossero terminati i pagamenti di Berlusconi a Cosa nostra. La nuova sentenza definisce però un’ulteriore solidità di questi rapporti, come ha sottolineato il pm  titolare dell’inchiesta Nino Di Matteo (qui un link di approfondimento), e stabilisce che non ci sono state interruzioni di questo rapporto, anzi, dal 1993 era continuato anche durante il  governo Berlusconi. Mori, Subranni, De Donno, Dell’Utri e i boss Nino Cinà e Leoluca Bagarella dovranno anche risarcire 10 milioni di euro alla Presidenza del Consiglio costituitasi parte civile.

Molti hanno espresso soddisfazione per la sentenza, tra cui anche Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, pur essendo critico rispetto all’assoluzione di Mancino e consapevole che ci sono ancora ulteriori risultati da perseguire. Uno di questi riguarda il ruolo dei politici che, escludendo la condanna a Dell’Utri, non è stato esaminato fino in fondo.