Quando vale la pena essere criminali? Osservazioni teoriche sulla mafia e i suoi costi

Fiducia

Nella Gran Bretagna del dopoguerra, sfinita dal secondo conflitto mondiale, venne stipulato un patto informale degno di nota: la convenzione sul disarmo della polizia. Tradizionalmente, i “Bobbies”, come vengono affettuosamente chiamati i poliziotti inglesi, non hanno nessuna arma da fuoco con sé, ma solo il manganello. Questo disarmo fu possibile grazie ad un accordo verbale che le autorità conclusero con i criminali, in cui questi ultimi accettarono a loro volta di non utilizzare armi da fuoco: questo fu l’unico modo di arrivare a una tale conclusione, in quanto allora, né la polizia, né i fuorilegge avevano il potere di imporre l’abbandono delle armi alla controparte. In parole povere: una durevole e reciproca fiducia è stata raggiunta grazie al rispetto delle regole da ambo le parti. I criminali che avessero infranto questa legge, sarebbero stati malvisti non solo dalla popolazione, bensì da tutti gli altri fuorilegge. Il disarmo prometteva un guadagno relativamente alto per entrambi gli attori in gioco, in quanto teneva sotto controllo la possibilità che si verificasse una sparatoria. Cosa ci insegna, dunque, questa storia che a prima vista sembra così semplice?

Questo articolo si propone di mettere in luce l’importanza di una coordinazione sociale, che può essere generata attraverso il senso di comunità e il cambiamento sociale. Verrà dimostrato come la mafia, attraverso i suoi metodi, tenti di minare questa fiducia e metta in pericolo anche la fiducia nella democrazia. Di questo rapporto tra la criminalità organizzata e la funzionalità della democrazia viene di frequente accennato negli articoli e alle conferenze di Mafia? Nein, Danke!. A partire dalle riflessioni di autori come Paul Collier, Robert Putnam e John Nash, tenteremo di rappresentare questa relazione intuitiva in un sistema modello.

Nel suo lavoro principale „Making Democracy Work“, Putnam attribuisce le differenze regionali della Repubblica Italiana a ciò che lui chiama „il capitale sociale“. Per questo articolo non è tanto centrale il fatto che l’Italia sia stata scelta come case study, quanto che il concetto del capitale sociale, analizzato in questo studio, sia traslabile in diversi contesti. Cosa si intende con ciò? Il capitale sociale rappresenta per il filosofo la fiducia reciproca nella validità legale e l’osservanza di regole e valori condivisi, ma allo stesso tempo la possibilità di rimandare a relazioni interpersonali e credere alla stabilità delle stesse.

È difficile spiegare il motivo per cui uno stato assistenziale venga sostenuto anche da coloro i quali hanno in media una qualità della vita soddisfacente e per i quali, da un punto di vista economico, la ridistribuzione della ricchezza significhi più costi che benefici. Deve esserci un meccanismo efficace che motivi i cittadini a contribuire in un sistema comune, anche a discapito del proprio singolo calcolo di costi e benefici; in breve si tratta di mostrare solidarietà. Inoltre, la presenza di un sistema organizzativo come lo Stato, offre un’altra possibilità: la cooperazione. Numerosi beni astratti, tra cui anche la fiducia (o il disarmo della polizia), si ottengono con la collaborazione fattiva tra due parti. Ci si fida del fatto che lo Stato, nonostante la sua grandezza, possa creare questi legami ai quali si collegano i concetti di fiducia e giustizia. In questo caso, senza dubbio, ci troviamo davanti a una costruzione sociale, ma sappiamo che le mafie riescono ad insediarsi, con un’efficacia estrema e senza pressapochismi, in ambiti caratterizzati da una governance molto debole e, quando non riescono a infiltrarsi, si oppongono in maniera ostile allo stato stesso.

Per riuscire a collaborare, c’è sempre bisogno di un certo numero, vale a dire di una massa critica, che sia interessato a questo consenso. Il consenso premia i comportamenti conformi, e applica delle sanzioni qualora l’ordine sociale e civile venga violato. Dunque, come appare la struttura costi-benefici di coloro i quali si contrappongono all’ordine sociale e di coloro che reagiscono ai fuorilegge? Una situazione complessa di decisioni aggregate, soprattutto sotto una mancanza parziale di trasparenza, offre sempre l’incentivo di abbandonare questo ordine, o di fare la propria parte in modo insufficiente, come nel caso dei cosiddetti freeloaders. Un esempio molto semplice: il servizio della metropolitana è garantito anche se io non ho il biglietto, in quanto il costo sociale per un ticket non acquistato è marginale. È chiaro che se tutti viaggiassero senza biglietto, però, la rete metropolitana ad un certo punto collasserebbe. E questo è il motivo per cui i biglietti vengono controllati. I controllori percepiscono uno stipendio e, comportando un costo, vengono assunti in numero limitato, ma il numero ottimale di controllori che dovrebbero essere assunti è dato dal numero di persone che contravvengono alle regole. Allontaniamoci dunque dallo schema in cui tutti comprano il biglietto e non vi è la necessità di effettuare controlli, per avvicinarci a quello in cui i controllori vengono assunti in base al numero di persone che viaggiano senza biglietto. Ognuno, nella misura in cui agisce razionalmente, calcolerà il rischio di essere trovato senza biglietto e avrà calcolato il suo beneficio di conseguenza, al netto dei costi risparmiati. Anche in questo caso, sicuramente, in base al numero dei controlli, i fuorilegge adotterebbero una strategia e si tratterebbe di una situazione in cui vi è un equilibrio tra “cattivi” ed “eroi” (coloro che si attengono alle regole).

Nella realtà dei fatti, però, è andata diversamente: il prezzo dei titoli di viaggio è aumentato per tutti, perché alcuni non li acquistavano e perché i controllori devono essere pagati. Prendiamo come esempio una società normale, dove i costi non vengono intesi solo in una dimensione economica. Voi stessi potreste essere intesi come costo della perdita di fiducia. Ad ogni modo i costi della cooperazione aumenteranno proporzionalmente a tutti coloro i quali decidono di non partecipare a questi costi comuni. Gli organi preposti al controllo e alla disposizione delle sanzioni hanno un costo sempre maggiore e alcune opzioni verranno a mancare in quanto non efficaci e non coordinabili. Ma chi preferisce che questo servizio statale non venga più offerto?

Nella terminologia di Collier, i “super-cattivi” (Collier, 2016) sono coloro che traggono beneficio da situazioni precarie e puniscono persino coloro i quali vogliono punire “i cattivi”. Il terrorista è l’esempio perfetto, il cui scopo è quello di minare la sicurezza di un’intera società tramite minacce, piuttosto che quello di provocare danni al singolo (vedi terrorismo come strategia di comunicazione). Questo soggetto non ha nessun interesse ad ottenere un equilibrio ottimale: la persona che viaggia senza biglietto vuole che la rete di trasporti continui a funzionare in modo da poterla sfruttare, mentre il terrorista vuole che l’infrastruttura crolli per ottenere visibilità.

I metodi che la mafia predilige, tra cui nepotismo, corruzione, evasione fiscale, estorsioni, sono pericolosi non solo perché causano ingenti danni economici, ma soprattutto perché fanno vacillare le credenze degli “eroi”, ovvero coloro che si attengono alle regole. L’aspettativa di un sistema economico e di tassazione corretti, del monopolio statale della violenza, legittimato democraticamente. Attenersi a questa metodologia criminale non è vantaggioso solo per la mafia, bensì, in alcune circostanze, anche per la popolazione che mira egoisticamente a raggiungere uno stato di benessere molto ambito. Il lavoro nero è relativamente vantaggioso se si nota che gli introiti non vengono dichiarati. Non si tratta di minimizzare la mafia, quanto di renderci conto che il nostro comportamento sociale, che si contrappone al rifiuto della mafia, rappresenta una coordinazione. In entrambi i casi, però, la pratica coordinativa viene indebolita.

Un’ulteriore aspetto è la vendetta: gli atti di ritorsione della mafia sono decisamente inefficienti, in quanto comportano costi sociali molto rilevanti. L’azione vendicativa che implica una reazione, termina in un circolo vizioso in cui la brutalità nel farsi giustizia da sé aumenta esponenzialmente. Organizzazioni parastatali come la mafia, che lavorano secondo un proprio sistema di giustizia ed agiscono in un sistema basato sulla logica dell’occhio per occhio, sono molto instabili perché non offrono via d’uscita dalla spirale della criminalità. Il sistema di giustizia ufficiale al contrario, riconosce non solo l’aspetto della compensazione (che si rifà al principio dell’occhio per occhio), ma anche quello della riabilitazione e della legalità che ristabilizzano le aspettative della comunità.

La buona notizia, che però assume anche aspetti negativi, è che, quando si tratta di mafia, abbiamo a che fare solamente, nella terminologia di Collier con “cattivi” e non con “supercattivi”. Ciò significa che, da un lato, nel contrastarli, riusciamo a tenerli a bada, ma dall’altro essi hanno un grande interesse nel mantenere la stabilità dell’instabilità del loro stato subottimale. In questo caso si parla di un rischio prolungato (forse costante), ma allo stesso tempo calcolabile (la Camorra potrebbe rappresentare un’eccezione, in quanto le sanguinose faide in cui è coinvolta rischiano di turbare l’equilibro locale).

Ciò che è sconcertante riguardo alla mafia, è il fatto che si identifichi in termini come “onore” e “impegno”, creando di conseguenza una struttura sociale di fiducia, che però si contrappone alla struttura democratica. La struttura mafiosa rimane, infatti, molto legata all’interesse del singolo. La rete interpersonale creata della mafia ricorre in grande misura al capitale sociale nella sua forma caricaturale, a scapito di molti e a beneficio di pochissimi.