Le infiltrazioni della ‘ndrangheta nella tifoseria bianconera

Inside Juventus Stadium (3) Klein

La sentenza dell’inchiesta Alto Piemonte che vede tra i condannati Rocco Dominello e il padre Saverio, esponenti della cosca Pesce-Bellocco di Rosarno, riaccende il nostro interesse sul tema “Calcio e Mafia”. Il procedimento penale pendente dinanzi alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, sebbene non abbia coinvolto nessun tesserato del club bianconero, ha però innescato un effetto domino che ha investito il presidente Agnelli, più volte ascoltato davanti alla Commissione Antimafia. Il guaio per il vertice della società juventina è che gli atti dell’inchiesta siano finiti fin da subito in mano alla procura federale della FIGC, la quale ha avviato un processo sportivo nei suoi confronti e in quelli dei suoi più stretti collaboratori.

Dopo l’interruzione del 26 maggio 2017 a causa dell’impegno imminente che attendeva la squadra a Cardiff, la sezione disciplinare del tribunale federale nazionale si è riunita nuovamente il 15 settembre. Nel frattempo Andrea Agnelli ha ottenuto la carica di presidente dell’ECA (European Club Association), ambito ruolo dirigenziale che tutt’ora ricopre. Le accuse nei suoi confronti sono quelle di aver intrattenuto rapporti con la tifoseria organizzata per l’acquisto e la successiva vendita di tagliandi a prezzo maggiorato, contribuendo alla realizzazione di guadagni illeciti da parte di organizzazioni malavitose. In particolare, è palese la violazione dell’art.1bis comma 1 (principi di lealtà e correttezza) e dell’art.12 commi 1,2,3 e 9 (prevenzione di fatti violenti) del Codice di Giustizia Sportiva, motivo per cui la Procura ha inizialmente richiesto trenta mesi di inibizione, unitamente al pagamento di 50.000 euro di ammenda.

Alcune violazioni sono state in parte ammesse dagli imputati nel corso del processo sportivo, i quali hanno dichiarato di aver violato il decreto Pisanu vendendo più di 4 biglietti a ogni acquirente e motivando il fatto con “ragioni di carattere pubblico”. Secondo l’accusa si tratterebbe, dunque, di un accordo tacitamente concesso dalla dirigenza per cercare di “accontentare” la tifoseria organizzata e arginare eventi spiacevoli, al fine di mantenere la pace in curva. L’insorgere di atti violenti, infatti, comporterebbe il pagamento di sanzioni particolarmente onerose per la società, che a quanto pare si è adoperata, più o meno legalmente, per evitare questo inconveniente.

Il presidente Agnelli invece ha negato fermamente il suo coinvolgimento in queste pratiche poco ortodosse e anzi ha riversato la responsabilità sul collega Calvo, all’epoca dei fatti direttore commerciale della Juventus. La millantata estraneità del dirigente viene respinta dal Tribunale sportivo per diversi motivi, tra cui il lungo periodo in esame (5 stagioni sportive) e l’ingente numero di tagliandi venduti i in maniera impropria. Quello che invece non è stato confermato è il presunto rapporto tra Andrea Agnelli e Rocco Dominello; a questo proposito, la difesa ha sottolineato con decisione che il presidente non poteva essere a conoscenza del ruolo malavitoso del soggetto, reso pubblico soltanto dopo la loro “sporadica” frequentazione, che si è poi immediatamente interrotta.

Alla luce di ciò, il TFN ha accolto solo parzialmente le richieste della Procura e ha disposto che Andrea Agnelli, Stefano Merulla, Francesco Calvo paghino un’ammenda di 20.000 euro e scontino 12 mesi di inibizione; Alessandro d’Angelo dovrà invece scontare 15 mesi di inibizione per non essersi opposto all’introduzione di materiale pericoloso e offensivo in occasione del derby della Mole. La società Juventus FC pagherà un’ammenda di 300.000 euro a titolo di responsabilità diretta, ma non dovrà disputare alcuna gara a porte chiuse, come inizialmente richiesto dalla Procura.

Tuttavia, a prescindere dalla comprovata inconsapevolezza del dirigente, le infiltrazioni della ‘ndrangheta nella curva sud della Juventus non sono state affatto smentite. Secondo il Tribunale di Torino, nelle motivazioni della sentenza che ha portato alla condanna dei Dominello, si legge che la ‘ndrangheta si è “di fatto imposta nel tifo organizzato, esercitando un vero e proprio controllo dei gruppi che supportano la Juventus”, ottenendo quindi una grossa fetta degli introiti derivanti dalla rivendita a prezzo maggiorato dei biglietti. Si noti, infatti, che il bagarinaggio in Italia è attualmente punito alla stregua di un illecito amministrativo e in questo potremmo individuare uno dei motivi che ha suscitato l’interesse della ‘ndrangheta per questo affare poco rischioso.

Con l’accusa di tentato omicidio e di bagarinaggio a seguito dell’infiltrazione nei gruppi ultras juventini, Saverio Dominello è stato condannato a 12 anni di carcere, mentre il figlio a 7 anni. Fabio Germani, il presidente dell’associazione ItaliaBianconera, arrestato nel 2016 e ritenuto l’anello di congiunzione tra Dominello e la Juventus, è stato invece assolto; il suo legale ha precisato che il rapporto di amicizia che intercorreva tra i due non avrebbe implicato il supporto all’attività dell’‘ndrangheta.

Per il giudice Marson, però, risulta improbabile che la Juventus non fosse a conoscenza della gestione “poco trasparente” dei biglietti destinati agli ultrà. Un campanello d’allarme avrebbe potuto essere l’episodio risalente al 2014, in cui un tifoso svizzero presentò un reclamo dopo aver pagato 620 euro per un biglietto facente parte della dotazione di tagliandi di Rocco Dominello che ne vale 140.

A rendere ancor meno trasparente la questione della relazione tra criminalità organizzata e mondo calcistico, ci pensa l’inchiesta sui “biglietti omaggio” che il Napoli avrebbe concesso ai fratelli Esposito, tre imprenditori di Posillipo noti alle autorità per aver intrattenuto rapporti con la Camorra. In questi mesi, il procuratore federale Pecoraro ha ascoltato numerosi tesserati e giocatori, e a inizio novembre ha chiuso il cerchio con l’audizione del presidente del club partenopeo, Aurelio de Laurentiis. A quanto pare, l’indagine è stata archiviata perché il fatto non sussiste, ma un secondo filone di inchiesta suggerisce che, diversamente dal caso juventino, ad essere implicati questa volta siano i giocatori e le violazioni si siano consumate all’insaputa del presidente de Laurentiis.