Dimenticare un problema non vuol dire risolverlo. Nando Dalla Chiesa parla di mafie a Berlino.

Humboldt

Studioso, consigliere comunale, scrittore, membro della commissione nazionale antimafia, sociologo, professore universitario, parlamentare, presidente onorario di Libera. Questi sono alcuni degli incarichi e delle posizioni assunte negli ultimi trent’anni dal professor Nando Dalla Chiesa, esperto di criminalità organizzata, che è stato in visita a Berlino per un ciclo di lezioni a tema alla Humboldt Universität all’inizio di luglio 2017.

Alla luce delle sue esperienze, il professor Dalla Chiesa ha delineato il problema della questione mafiosa da vari punti di vista, sottolineando anche l’urgenza di parlarne di più ed in profondità in terra tedesca. La ‘ndrangheta si è ormai espansa anche qua, sostiene Dalla Chiesa, e con meccanismi simili a quelli utilizzati per lo stabilimento in Nord Italia. A determinare l’espansione ci sono numerosi motivi interni ai clan, tanti quanti le caratteristiche del territorio potenzialmente prescelto come nuova base strategica ed infine le diverse strategie di espansione delle ‘ndrine. Tra i fattori di rischio più preoccupanti, i seguenti spiccano, anche per riferimento alla Germania, che si qualifica come meta ideale per l’espansione dei clan: in primo luogo, la rimozione del problema, tipica della Sicilia del secolo scorso e del Nord Italia degli ultimi 30-40 anni, quindi sostenere che la mafia non esista o che non riguardi il proprio territorio. L’ignoranza, simile meccanismo, si basa invece sulla scarsa conoscenza del fenomeno, e porta a immaginare la mafia in modi molto diversi da quelli reali: si immagina dunque che sia lontana dal proprio ambiente, inavvicinabile, stereotipata. Secondo Dalla Chiesa, questo meccanismo funzionerebbe come una autoassoluzione del singolo, che in grazia di ciò non si sente dunque ne’ responsabile, ne’ chiamato a riflettere o ad agire. Paesi con alti livelli di corruzione sono particolarmente penetrabili da sistemi mafiosi, anche se persino negli ambienti all’apparenza più resistenti possono infiltrarsi strutture illecite. La mancanza di una legislazione repressiva contro questi fenomeni unita ad una forte legislazione delle libertà pubbliche (come ad esempio il divieto in Germania di nominare gli indagati dei processi) risultano anche condizioni facilitanti per garantire una vita relativamente serena a mafiosi. Ultimo, ma non per importanza, fattore di rischio è lo spirito pubblico, che riguarda il modo in cui la democrazia viene vissuta in un determinato territorio, e può di conseguenza essere un argine o viceversa un lasciapassare per le mafie.

La ricca e progressista regione italiana dell’Emilia Romagna rimane un esempio di come anche un territorio con un forte spirito pubblico, di associazionismo, legalità e storia di resistenza partigiana – da sempre considerati “anticorpi” contro l’infiltrazione mafiosa – possa cedere ai meccanismi mafiosi e cadere nelle mani dei clan. Ad oggi, in Emilia Romagna si sta svolgendo il processo di mafia Aemilia, con più di 200 imputati. L’economia e la politica della regione sono state a tutti gli effetti infiltrate, nonostante i suoi “anticorpi naturali” che, in realtà, hanno nascosto la presenza di fattori di rischio che hanno poi reso possibile l’attecchimento delle mafie e del loro metodo. Il parallelismo con la Germania viene da se’, e attenzione, ammonisce Dalla Chiesa: le mafie non si spostano solo per riciclare, bensì ove vanno esse pongono le radici per esportare il proprio sistema e metodo.

Cosa si può fare dunque per ridurre i rischi e contrastare le mafie in territori non tradizionali? I cambiamenti legislativi sono una priorità ma altrettanto fondamentale resta la conoscenza del fenomeno. Nel corso delle sue lezioni, il Prof. Dalla Chiesa espone anche i modelli educativi alla legalità sperimentati nelle scuole italiane come attività di contrasto alla criminalità organizzata. Attraverso gli esempi dati da educatori, ma non solo, come Danilo Dolci, Don Andrea Milani, Saveria Antiochia e tanti altri, Dalla Chiesa ha ricordato come l’educazione alla legalità insegna che la legge debba essere uno strumento in mano ai deboli. Essa è educazione alla libertà, alla giustizia, alla cittadinanza. Il processo di affermazione e difesa della legalità può essere collettivo, in sintonia con chi detiene il potere e alimentato dalla partecipazioni di soggetti civili quali le associazioni. Esso può però anche diventare processo di rottura con un potere ed una cultura che normalizzano il reato e lo rendono accettabile; in questi casi, come nei casi in cui è il potere stesso ad essere illegale, la legge (legalità) va difesa anche contro chi ne abusa. Ne risulta una legalità che diventa devianza (nel momento in cui è controcorrente rispetto alla cultura dominante) e di conseguenza un’educazione alla legalità che diventa educazione al conflitto. Il professore ha poi sottolineato l’importanza di partire dall’educazione di bambini e giovani, perché sono loro che, portando le lezioni apprese in famiglia, sono anche portatori della forza del cambiamento. Dalle scuole all’università: Nando Dalla Chiesa ha fondato il corso di Sociologia della Criminalità Organizzata all’Università degli Studi di Milano per evitare il fenomeno del “dilettantismo”. E poi corsi di giornalismo, spettacoli teatrali, laboratori artistici: emerge chiaramente la necessità di creare un’intera cultura che sia “antimafia”.

E in Germania? La sua raccomandazione è: non italianizzare l’esperienza di contrasto alle mafie, ma trarre tutta la forza e i supporto dall’esperienza italiana. Le mafie vanno conosciute, studiate ed analizzate per avere gli strumenti, non solo legislativi ma anche civili, per contrastarle. Altrimenti, rimane alto il rischio che la profezia di un ‘ndranghetista si avvicini alla realtà: “il mondo è diviso a metà: la Calabria e quello che lo diventerà”.